Relazioni

Ma che ci sto a fare qui? Quando pensi che la tua vita non serva a niente

3 Giugno 2017

Dove la comunicazione si spezza definitivamente,

lì cessa l’amore,

perché si trattava solo di un’illusione ingannevole.

(Jaspers)

C’erano una volta due pezzetti di vetro blu attaccati ad una parete. Erano stufi di stare lì inchiodati, in un ambiente tra l’altro anche un po’ umido. Lamentandosi l’uno con l’altro, giunsero un giorno alla decisione di staccarsi dalla parete e scendere a terra. Qualcuno di certo si sarebbe accorto di loro e li avrebbe usati meglio.

Così, spinta dopo spinta, riuscirono a staccarsi dalla parete e a scivolare per terra. L’indomani il sacrestano zelante passando con la scopa li tirò via e lì gettò nella pattumiera. Ma alzando lo sguardo, per la sua solita breve preghiera mattutina, si accorse che nel bel mosaico, che rappresentava Gesù, mancavano gli occhi.

Quando siamo stanchi o quando attraversiamo momenti di fatica, capita di chiederci: ma cosa ci faccio qui? Cosa ci faccio in questa relazione?

Magari ci sentiamo sprecati o non riusciamo più a capire quale sia il nostro posto o, peggio ancora, a cosa serva la nostra vita. Ci sentiamo come pezzetti di vetro costretti a stare attaccati al muro e non riusciamo più a vedere né la nostra bellezza né quello che siamo capaci di trasmettere agli altri.

Ci siamo dimenticati ormai di chi ci ha messi lì, di chi ci ha chiesto di stare lì, forse pensiamo di esserci arrivati un po’ per caso, magari senza pensarci neanche troppo.

In un certo senso la Pentecoste è la festa in cui ritorniamo a scoprire il senso della nostra vita. Lo Spirito ci aiuta a fare chiarezza. Le domande più deprimenti giungono infatti nei momenti di confusione. Sono i momenti in cui vogliamo buttare tutto all’aria, come i due pezzetti di vetro che vogliono per forza staccarsi dal muro, senza sapere neppure bene a cos’altro attaccarsi.

Come a Babele, la confusione nasce quando vogliamo primeggiare.

Cercare il primato vuol dire avere un’idea distorta di se stessi. Quando non vediamo più i nostri limiti e non riconosciamo più le nostre risorse, non siamo più contenti di quello che siamo, per questo cerchiamo di primeggiare.

Chi cerca continuamente di vincere sugli altri, nelle relazioni, persino nei rapporti di coppia, ma anche con Dio, è colui che è insicuro, ha paura di rimanere solo, e per questo cerca di affermare in maniera falsa il suo primato sugli altri.

Chi ha paura di non essere accolto per quello che è, cerca di farsi padrone sugli altri, in modo da essere sicuro di essere accolto.

Lo Spirito riporta i discepoli a riscoprire il senso del loro cammino.

Li aiuta a ricordare da dove vengono.

Il fragore del tuono è lo stesso fragore che si scatenò sul monte Sinai quando Dio donò la legge a Mosè. È il tuono nel quale Dio parlò per stabilire l’alleanza con il suo popolo, per dire a Israele: io sono il tuo Dio e tu sei il mio popolo.

Il soffio dello Spirito è lo stesso che aleggiava sulle acque nella creazione. Lo Spirito dunque ci ricorda l’origine e il senso della nostra vita. Qualunque sia il nostro presente, Dio ha fatto alleanza con noi, ci tiene la mano e non ci lascia. Ecco la buona notizia, che lo Spirito viene a ricordarci.

È proprio la confusione a nascondere e a confondere questa parola.

La confusione ci confonde non solo nella relazione con Dio, ma anche in tutte le relazioni umane. Per questo lo Spirito viene a piegare i nostri pensieri rigidi, le nostre ossessioni cupe, i nostri schemi irremovibili; lo Spirito viene a scaldare i nostri cuori gelidi, a sciogliere i sentimenti congelati, a vincere la paura di amare ancora; lo Spirito viene a raddrizzare le convinzioni distorte, le azioni perverse, a salvarci dalle vie che ci portano verso la morte.

Lo Spirito viene ad aprire le porte del Cenacolo che sono ancora chiuse.

È un’immagine che ci appartiene, perché anche noi quando siamo arrabbiati e delusi ci chiudiamo dentro, e non abbiamo pace. Lo Spirito viene a ridarci quella pace che è possibile solo quando arriviamo a perdonare. Solo allora finalmente ci apriamo e lasciamo andare il rancore. Solo allora ritorniamo a essere quello per cui siamo stati creati.

Lo Spirito ci ricorda infatti la nostra identità.

Se fossimo quei due pezzetti di vetro blu, probabilmente lo Spirito verrebbe a ricordarci la nostra bellezza, la gioia che possiamo donare, la tenerezza con la quale siamo stati plasmati.

Molte volte siamo tristi perché non riusciamo più a vedere la ricchezza che possiamo donare. Magari ci sentiremo un po’ costretti a stare attaccati al muro, ma sarà grande la gioia di chi potrà ringraziare Dio vedendoci, apparentemente inutili, sopra quel muro.

 

 

 

 

 

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