Relazioni

L’ultima puntata. Quando sai che da domani non lo vedrai più!

12 Maggio 2017

Quando una persona a cui siamo legati si separa da noi, sentiamo come una corda che si spezza e abbiamo la sensazione di precipitare nel vuoto. Gridiamo affinché qualcuno ci senta e possa riannodare quella corda.

La separazione da chi amiamo è accompagnata da emozioni che ci fanno sentire l’as-senza: ci sentiamo senza qualcuno. Ci portiamo dentro un vuoto che nessuno può colmare. È inutile provare a riempirlo: il vuoto c’è.

Nel tempo della separazione veniamo fuori per quello che siamo. È lì che emerge come abbiamo vissuto quel legame. È lì che si vede quanto abbiamo amato. È lì che emergono le nostre paure, quelle che fino ad allora siamo riusciti a coprire.

Le parole del congedo sono le parole essenziali. Non c’è più tempo, forse non avremo un’occasione in più per dire quello che ci portiamo nel cuore.

Questo passo del Vangelo racconta il momento del congedo di Gesù dai suoi discepoli. È da poco terminata la cena, l’ultima. È il tempo di dirsi le cose che contano. Ed è il tempo in cui emergono, senza controllo, le paure più profonde.

Innanzitutto la paura di restare soli. Abbiamo bisogno di essere rassicurati.

Nel mondo antico si era soliti spaccare in due un oggetto: ciascuno ne avrebbe tenuto metà, fino al giorno in cui ci si sarebbe incontrati di nuovo per unire (syn-ballo, metto insieme, da cui la parola simbolo) quelle due parti.

Conoscendo forse la nostra smemoratezza e il nostro disordine, Gesù non ci lascia un pezzo da custodire, ma ci lascia se stesso tutto intero, ci lascia il pane e il vino in cui riconoscere la sua presenza reale, il suo corpo e il suo sangue. Proprio nell’Ultima Cena, infatti, Gesù si consegna per essere ritrovato sempre, proprio quando i discepoli hanno paura di perderlo.

Le parole di Gesù sono rassicuranti: “vi prenderò con me”; “dove sarò io, sarete voi”. Sono le parole di chi vede la paura sul volto di chi resta.

Non c’è immagine più rassicurante della casa, infatti è lì che Gesù ci aspetta: nella casa di mio Padre ci sono molte dimore. La casa è il luogo dell’intimità e delle relazioni. Gesù parla infatti di una casa in cui c’è spazio. Una casa in cui essere accolti. Sappiamo bene come da sempre la casa sia una rappresentazione di noi stessi. Da bambini, una delle prime cose che cominciamo a disegnare, è la casa. Il bambino si rappresenta indirettamente attraverso la casa.

Nella casa del Padre, dice Gesù, c’è sempre spazio. Cioè nella vita del Padre (e in quella di Gesù, che è la stessa vita) c’è sempre spazio. La sua vita è accogliente, è una vita per gli altri. Gesù sta dicendo ai suoi amici che ci sarà sempre spazio per loro nella sua vita.

Quando ci sentiamo abbandonati, ci accompagna anche la sensazione di perderci. L’assenza dell’altro fa venir meno i punti di riferimento. L’altro è una direzione. La sua mancanza ci getta nello smarrimento: cosa farò adesso?

Anche Gesù incontra lo smarrimento dei suoi discepoli. Tommaso cerca una via perché si sente perduto. A volte però quando ci perdiamo l’unica cosa che possiamo fare è aspettare che qualcuno ci venga a prendere.

Tommaso è la voce dell’autonomia e dell’autosufficienza: vorrebbe trovare la strada da solo, vuole essere il protagonista del suo cammino, vuole dimostrare di potercela fare da solo. Gesù lo invita ad aspettare e a riconoscere che “nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me”. Gesù è la via. Occorre stare lì, sulla strada, e lasciarsi incontrare dal pastore che va in cerca delle sue pecore.

Quando ci sentiamo abbandonati, abbiamo l’impressione di restare orfani.

Filippo vuole vedere il padre, ha bisogno di ritrovare la sua origine, le sue radici, la sua storia. Cercare il padre vuol dire cercare chi sono, la mia identità, da dove vengo. Il padre è colui che ci consegna un’eredità e ci permette di costruirci un futuro.

Sentirsi abbandonati vuol dire non vedere più la possibilità di un domani. Sentirsi orfani vuol dire sentirsi privati del futuro, non solo del passato.

Forse per questo Gesù ha, in questo passo, parole di padre: “farete cose più grandi di me”. Sono le parole che ogni figlio vorrebbe sentirsi dire dal padre.

Come i discepoli, anche noi siamo attraversati da queste paure.

La vita infatti ci chiama continuamente a staccarci, a salutare, a dire addio o a voltare pagina. Ma in ognuno di questi passaggi non siamo mai soli, anche se la tentazione cercherà sempre di persuaderci che siamo soli, smarriti e orfani.

*

Testo

Gv 14,1-12

Leggersi dentro   

  • Quali sono le paure che mi attraversano in questo tempo della mia vita?
  • Come le affronto?

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.