Religione
Lettera aperta ai nostri pastori: 50 laici riflettono su Chiesa e pandemia
Carissimi parroci, viceparroci, diaconi e coadiutori delle nostre comunità
la pandemia ha fatto sorgere domande importanti sul nostro essere e sentirci Chiesa e in molti si stanno interrogando su quali siano le ragioni per il mancato ritorno di moltissimi credenti alle celebrazioni.
Siamo un gruppo di famiglie credenti, rappresentanti di varie appartenenze ecclesiali e territoriali e, alla luce dei mesi trascorsi, sentiamo di poter offrire uno sguardo su ciò che abbiamo vissuto nella Chiesa, consapevoli che si tratta di un discorso generale e che esistono variabili e realtà differenti.
Sono stati mesi di apprensione, dolore, fatica e molti di noi speravano di poter condividere con le proprie comunità e con i presbiteri la difficoltà del momento, di fare sacrifici insieme, di poter vivere questo tempo come popolo di battezzati uniti e con uguale dignità di fronte a Dio, ma quel che abbiamo avuto è stata molto spesso una pioggia di eventi in streaming.
Lo streaming si è certamente rivelato una risorsa preziosa, ma il mondo virtuale può travolgerci se non sappiamo gestirlo bene e in effetti poco alla volta la rete è stata letteralmente invasa di dirette e filmati spesso di scarsa qualità, con messe, novene, rosari e addirittura funerali. Ci sembra che si sia perso un po’ il senso del limite e che si siano puntati i riflettori su momenti intimi che andavano forse custoditi e vissuti con maggior pudore. Oltretutto, soli su quell’altare, i presbiteri ci hanno rimandato l’immagine vivida di una Chiesa che – per esistere – non ha alcun bisogno di noi laici.
Ci chiediamo se non si siano perse occasioni preziose, come nel caso della confessione. La pandemia ci avrebbe dato la possibilità della celebrazione comunitaria della Riconciliazione con confessione generale e assoluzione generale, in alcune diocesi si è scelta questa strada, ma nella maggior parte no e molte parrocchie hanno scelto comunque di fare pomeriggi fiume di confessione individuale. Qualcuno obietterà che sono state rispettate le norme di distanziamento, ma non è questo il problema. Il problema è che avremmo potuto riscoprire il senso più profondo della riconciliazione, attuando peraltro una norma prevista e “valida” anche giuridicamente, ma ci siamo aggrappati ad altro, al passato, al già visto e conosciuto.
Lo stesso è successo con la novena; i nostri figli vivono con sacrificio la didattica a distanza e i più piccoli passano le loro giornate a scuola, immobili nel banco, con la mascherina indosso per cinque o otto ore. Davvero l’unica attività possibile per aspettare il Natale era sistemare i nostri figli distanziati nei banchi con la mascherina sul naso, passando così l’idea che la chiesa è solo un altro ambiente nel quale trovarsi costretti e che funziona come “somministratrice” di riti, a prescindere da loro e dalle loro esigenze? Peraltro in molti casi quelle novene sono state pure trasmesse in streaming, lanciando i bambini nel web come protagonisti inconsapevoli di uno spettacolo voluto dagli adulti, uno spettacolo a cui forse non era il caso che partecipassero.
Da un lato quindi una sovraesposizione mediatica, dall’altra l’esercizio di un privilegio, perché le chiese sono esentate dalle restrizioni previste delle autorità per il bene comune e che hanno colpito tutti gli altri luoghi pubblici.
Per tutti noi l’Eucaristia è il centro di sostegno della nostra fede, ma com’è possibile che abbiamo sentito i pastori parlare più della riapertura delle Chiese e dell’orario delle Messe che dei dolori e dei bisogni scatenati da questa crisi?
In questo tempo drammatico, più che mai avevamo bisogno di parole di speranza, di gesti di vicinanza, di sostegno concreto, eppure a volte sembra che i nostri vescovi e parroci pensino che, finché possiamo andare in chiesa o ascoltarli in streaming, hanno fatto il loro lavoro.
Stiamo forse cominciando ad abituarci all’idea che essere Chiesa significhi eseguire gesti e riti, magari poi buttandoli in rete e controllando quanti “mi piace” si sono ricevuti.
Siamo delusi da un’immagine di Chiesa sempre più distante dalla nostra vita, dai problemi concreti delle nostre famiglie e così lontana dal Vangelo, il quale non ha mai inteso promuovere l’idea di una classe sacerdotale né di una mera esecuzione di precetti, ma che chiede costantemente di sapersi rinnovare, nel rispetto di tutti, senza distinzioni.
Noi, famiglie, adulti, ragazzi e bambini speravamo di poter condividere questo momento storico drammatico con la Chiesa in cui siamo cresciuti e abbiamo creduto, ma dobbiamo constatare che se un tempo eravamo “popolo di Dio”, oggi siamo diventati semplici “followers”.
Seguono cinquanta firme
Devi fare login per commentare
Accedi