Religione
L’eresia femminile come forma di resistenza
Adriana Valerio (Sperone, 1952), storica e teologa, da sempre è impegnata a reperire fonti e testimonianze per la ricostruzione della memoria delle donne nella spiritualità occidentale. Tra le prime teologhe ad occuparsi di esegesi femminile, ha insegnato Storia del Cristianesimo e delle Chiese presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, avviando progetti internazionali per la ricostruzione dell’identità storica e religiosa delle donne, in particolare indagando il loro rapporto con i testi biblici. Nel suo ultimo volume, Eretiche, pubblicato da Il Mulino, ricompone le vicende delle molte donne coraggiose e indipendenti che, giudicate non in linea con le direttive dell’ortodossia cattolica, hanno osato fronteggiare i tribunali ecclesiastici, venendo per tale ragione oppresse, scomunicate, imprigionate, uccise. Già nell’introduzione ne presenta stringatamente alcune: “Il primo giugno 1310 venne bruciata una giovane filosofa, la beghina di Valenciennes Margherita Porete; nel 1524 la mistica Isabel de la Cruz fu processata e successivamente condannata all’ergastolo dall’Inquisizione di Toledo; a metà del Seicento furono deportate le colte suore gianseniste di Port-Royal dall’arcivescovo di Parigi; nel 1912 fu considerato pericoloso e messo all’Indice dei libri proibiti l’opera della teologhessa inquieta Antonietta Giacomelli che voleva sollecitare una riforma liturgica nella Chiesa”.
Donne: aristocratiche, plebee, vergini, maritate, suore, dichiarate pubblicamente eretiche. La parola greca eresia (αἵρεσις) significa “scelta”, e indica la possibilità di seguire un’opinione o una dottrina tra diverse opzioni. Questo termine originariamente non possedeva alcuna caratterizzazione denigratoria. Fu con le Lettere del Nuovo Testamento che assunse connotati dispregiativi, suggerendo separazione, divisione, devianza. “Le esperienze difformi furono giudicate disgregatrici e fuorvianti da un punto di vista dottrinale, morale e disciplinare e per questo allontanate, perseguitate, distrutte”, soprattutto a partire dal II e III secolo, con i trattati di Giustino, Ireneo, Tertulliano, Ippolito. Gli autori di testi canonici, i detentori dell’ortodossia all’interno del cristianesimo erano ovviamente di sesso maschile, mentre alle donne veniva destinato un ruolo accessorio sia nell’elaborazione teorica sia nella pratica sociale. Eppure, spunti di critica ideologica, audaci contestazioni dei ruoli di potere, esperienze di fede non tradizionali furono elaborate da menti femminili, e regolarmente, severamente occultate o addirittura derise: “donne messe al bando o condannate come deviate, eretiche, streghe, sovversive, isteriche e altro, a seconda di come sono state stigmatizzate nelle varie epoche storiche”.
Adriana Valerio analizza appunto le vicende tormentate e dolorose che hanno caratterizzato i rapporti tra l’universo femminile e il cristianesimo, già a partire dai suoi albori: se il messaggio di Gesù si definì da subito come rivoluzionario e liberante, la misoginia era già evidente in molti testi del Nuovo Testamento: “La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. […] Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia (1 Tim 2, 11-15)”.
Istituzionalizzandosi, il cristianesimo accentuò la rappresentazione filosofica di una trascendenza legata al potere, in cui ogni elemento di pluralità e ogni aspetto di femminilità veniva marginalizzato, con un Dio definito come sovrano assoluto, intollerante ed esclusivo. Protagoniste di una proposta intellettuale e spirituale divergente da quella egemone, le “eretiche” mettevano in discussione soprattutto quattro principi ritenuti inamovibili dalla gerarchia ecclesiastica: il principio di autorità, il ruolo profetico, l’esperienza mistica e il rapporto tra legge e libertà, proponendo nuove alternative rispetto alle scarse opportunità offerte dalla vita ecclesiale.
Già dall’epoca romana la persecuzione nei confronti del pensiero teologico femminile fu costante, inibitoria e crudele: ne furono vittime le profetesse frigie Massimilla, Priscilla e Quintilla (definite femminette e donnicciole). Il cristianesimo, riconosciuto come religione dell’impero nell’Editto di Tessalonica del 380, avviò poi un rigoroso processo identificativo e di opposizione nei confronti del paganesimo, della cultura greco-giudaica e delle correnti eterodosse: di tale irrigidimento teorico fecero le spese la matematica e astronoma egiziana Ipazia, e altre filosofe e teologhe infamate con accuse di adulterio e lussuria per tacitarne il dissenso ideologico.
Dalla Francia e dal Belgio si diffuse il movimento delle beghine, che aspiravano a vivere secondo il modello evangelico nelle forme della povertà, della carità e dell’apostolato, riflettendo sulle pagine bibliche in gruppi autonomi di preghiera: anch’esse perseguitate, vennero poi ricompattate nel grembo della obbedienza romana. Tra di loro, la vittima più illustre fu Margherita Porete, bruciata nel 1310 insieme al suo libro Lo specchio delle anime semplici. Stessa persecuzione fu destinata alle donne valdesi, alle catare, le cui comunità patirono violenze e massacri.
Molte le personalità femminili di cui Adriana Valerio esalta il coraggio, la determinazione e l’intelligente anticonformismo: Margherita Boninsegna da Trento, Guglielma di Milano, Maifreda da Pirovano, e la figura più rappresentativa e famosa, Giovanna d’Arco, morta sul rogo nel 1431, a diciannove anni. Tra il 1500 e il 1600, i tribunali ecclesiastici dell’Inquisizione (spagnola, portoghese e romana), istituiti a difesa della fede cattolica, accusarono centinaia di donne di stregoneria, possessione diabolica, perversioni sessuali, sacrilegi e malefici. Prese di mira furono anche le intellettuali e le aristocratiche, come Giulia Gonzaga, Renata di Francia e la poetessa Vittoria Colonna. colpevoli di aspirare a una spiritualità più interiore e libera da costrizioni dogmatiche. Il sospetto investiva, in epoca rinascimentale e più tarda, anche le ardenti e carismatiche esperienze di misticismo, quali quelle di Orsola Benincasa, Giulia Di Marco, Isabella Berinzaga, Madame Jeanne Guyon, Marta Fiascaris, Lucia Roveri, Maria Antonia Colle, e delle seguaci del quietismo e del giansenismo, perché poco razionali e difficilmente incasellabili nelle consuete e più innocue manifestazioni di devozione.
Oltre all’intenso e documentato capitolo dedicato alla “caccia alle streghe”, il volume si sofferma sull’ostilità espressa dalla gerarchia ecclesiastica negli ultimi due secoli contro le studiose e teologhe culturalmente più progredite. Filosofe e letterate (Marianna Bacinetti Florenzi Waddington, Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Antonietta Giacomelli, Elisa Salerno, Valeria Paola Pignetti per arrivare alla famosa pedagogista Maria Montessori) dovettero sopportare gli interventi censori dell’Inquisizione romana per aver criticato il potere temporale dei papi, sollecitando una maggiore democratizzazione della Chiesa e un cambiamento culturale che ponesse fine alla loro emarginazione sociale e religiosa. In molti casi queste intellettuali furono scomunicate, escluse dall’eucarestia, ostracizzate al punto da venire indotte ad abbandonare la pratica religiosa, o ad abbracciare nuovi culti. Più spesso la gerarchia ecclesiastica preferiva opporre alle loro richieste “la strategia del silenzio, non dando risonanza alle posizioni della teologia femminista della liberazione, che mettono in discussione l’impostazione patriarcale e androcentrica dell’interpretazione biblica, della teologia e della tradizione, e soffocando qualunque istanza di partecipazione ecclesiale che apra all’ordine sacro”.
Alla domanda di conferire il sacerdozio alle donne, ancora oggi si oppone il diniego feroce e quasi isterico da parte di tutta l’ufficialità cattolica.
ADRIANA VALERIO, ERETICHE. DONNE CHE RIFLETTONO, OSANO, RESISTONO
IL MULINO, BOLOGNA 2022, p. 168
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