Religione

La spartizione del potere. Lo sfondo del presepe non è un cielo stellato

7 Dicembre 2018

Cammina dove non puoi! Guarda dove non vedi!
Ascolta dove nulla suona e nulla risuona: sarai così dove Dio parla.
Angelo Silesio

Perfino Cristo, in questi giorni, viene usato come strumento di divisione. È la profanazione delle cose sacre, vuol dire “nominare il nome di Dio invano”, cioè usare il suo nome non per dare gloria a lui, ma per servircene noi.

Viviamo, del resto, un tempo di ipocrisia e di perenne conflitto. È il tempo della divisione. Viviamo in un’epoca di polarizzazioni, dove la discussione deve assumere necessariamente toni offensivi, violenti, maleducati. Ogni argomento, evento, situazione, diventa, soprattutto sui social, l’occasione per vomitare la propria rabbia. Viviamo in un tempo di persone arrabbiate, frustrate e soprattutto stanche.

E ha ragione chi dice che in realtà è sempre stato così. Ce lo dice anche questo testo del Vangelo di Luca, il quale da storico pignolo ci presenta la spartizione del potere del suo tempo. Questa introduzione al suo racconto non vuole solo collocare precisamente nel tempo l’evento della nascita di Gesù, ma vuole descrivere la condizione di frammentazione del potere. Si tratta di un tempo in cui il potere è fortemente diviso, perché ciascuno difende prepotentemente il suo piccolo pezzo di potere: Tiberio, Ponzio Pilato, Erode, Filippo, Lisania! Sembra un Congresso del PD…

Luca ci dice che persino il potere religioso è diviso, la frammentazione è arrivata persino nei luoghi del sacro! Luca sa, infatti, che solo Anna è il vero sommo sacerdote in carica, eppure parla di Anna e Caifa, perché sa bene che, nonostante Caifa non sia più sommo sacerdote, continua ad esercitare una forte influenza. Il Sommo sacerdote è uno, ma qui viene presentato come doppio. È il potere religioso stesso ad essere diventato ambiguo.

In questo contesto di divisione e di conflitto, Luca dice però che la Parola di Dio arriva. E dunque, se quel tempo descritto da Luca è simile al nostro tempo e a tanti altri momenti della storia, vuol dire allora che in ogni momento, anche in quelli più bui, Dio continua a far sentire la sua voce.

Giovanni Battista, come ricorda anche sant’Agostino, è infatti la voce che permette alla Parola di Dio di parlare. Ma anche qui siamo davanti a un paradosso: Dio parla proprio attraverso chi è stato generato da un muto, da Zaccaria, che è rimasto muto per la sua incredulità. È ancora più evidente così che quella parola che Giovanni porta non è la parola umana imparata dal padre, ma è una parola che ha un’origine diversa.

Giovanni porta quella parola non nei luoghi del potere, non a Gerusalemme, né nei palazzi né nel Tempio, ma cerca luoghi deserti. Chi desidera ascoltare deve liberarsi dalle parole umane. Giovanni ci chiede di uscire dal frastuono della quotidianità: per ascoltare Dio c’è bisogno di un gesto di rottura.

Giovanni porta la parola nel deserto, un luogo che richiama la storia di Israele. È il luogo dove Dio ha detto le cose fondamentali lungo il cammino di Israele verso la Terra Promessa. È il luogo in cui Israele ha incontrato le sue paure, ma anche dove ha vissuto l’intimità della relazione con Dio. Il deserto è anche immagine di quella terra deserta da cui, come racconta l’inizio della Genesi, Dio ha plasmato l’uomo. Ciò che Giovanni propone è un nuovo inizio, un invito a lasciarsi ricreare da Dio.

C’è un altro luogo simbolico in questo testo: il fiume Giordano. Giovanni va a battezzare lì. È il fiume che Israele aveva dovuto attraversare per entrare nella Terra Promessa. Ora si tratta di attraversarlo ancora, spiritualmente, per entrare in una nuova terra promessa, nella vita eterna. Sarà al Giordano infatti che Gesù raggiungerà Giovanni per iniziare il suo ministero.

Giovanni invita a preparare la strada, una strada che non dobbiamo percorrere noi. Si tratta di un movimento nuovo rispetto a quello che Israele ha vissuto nel deserto. Ora è Dio che viene verso l’uomo. Egli è adventus, Colui che è venuto verso noi. Si tratta di preparare la strada dentro di noi, affinché Dio possa raggiungere il nostro cuore! La nostra vocazione è lasciarci raggiungere.

Siamo chiamati a riempire i burroni della disperazione e dello sconforto, perché a volte è proprio quella la distanza che mettiamo tra noi e Dio.

Forse è il caso di abbassare le montagne dell’orgoglio e della superbia, perché a volte è proprio quello che ci impedisce di vedere Dio che viene verso di noi.

Può essere opportuno abbandonare i pensieri tortuosi, quelli dentro i quali ci aggrovigliamo, ci struggiamo, quelli su cui rimuginiamo, perché è proprio quello che complica l’incontro con Dio.

Proviamo a guardare bene i sentieri che ci sembrano impossibili, perché forse è proprio da lì che Dio ha scelto di passare.

*

Meditazione
per la seconda Domenica di Avvento

Leggersi dentro

  • Credi ancora che Dio possa parlare nel tuo tempo?
  • Quale azione puoi intraprendere per lasciare che Dio entri nella tua vita?

 

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