Religione
La scandalosa reliquia
L’episodio, di cui parliamo, viene narrato da Matteo Paris, un monaco benedettino che visse in quegli anni in cui re di Francia era Luigi IX, sovrano colto e protettore delle arti, molto caro ai francesi ma, soprattutto principe devoto che, per le sue virtù esemplari cristiane. Luigi fu, infatti, promotore delle due ultime sfortunate crociate e, nel 1297 , era stato elevato da papa Bonifacio VIII alla gloria degli altari.
Ma andiamo ai fatti.
Re Luigi era solito visitare i luoghi di culto più importanti delle sue contrade. Nel 1244 – non ne conosciamo giorno e mese – accompagnato da Bianca di Castiglia, sua madre, e da Margherita di Provenza, la consorte, volle conoscere l’imponente abbazia di Pontigny in Borgogna. Si trattava del più grande complesso abbaziale cistercense del mondo, reso peraltro famoso per avere accolto fra le sue mura Thomas Becket, l’arcivescovo di Canterbury esiliato da re Enrico II d’Inghilterra.
Raggiunta la meta, il sovrano, dopo una breve visita agli edifici, com’era suo costume si raccolse in profonda preghiera, una sorta di estasi dello spirito.
Solo quando si sollevò dall’ inginocchiatoio per ritornare alle profane faccende, si rese conto di essere circondato da un gruppo di frati, uno dei quali reggeva un cofanetto.
In quel cofanetto, dicevano, c’era una miracolosa reliquia portata da bravi pellegrini dalla Terrasanta.
Il sovrano, con devozione, accolse fra le sue mani il cofanetto e, con delicatezza, ne sollevò il coperchio scoprendo che conteneva un’ampolla colma di un liquido nel quale era affogato qualcosa che, sulle prime, stentò a riconoscere tanto da indurlo a sollevare l’ampolla alla luce per capire cosa vi fosse dentro.
Quale fu la sorpresa nel vedere che, quel qualcosa così preziosamente conservato, altro non era che un mostruoso membro maschile.
Racconta il cronista Paris che mai come allora il futuro santo era stato visto prima arrossire e subito dopo gridare come un ossesso; in poche parole, a “santiare” come il peggiore dei vaccari.
Per placarne la rabbia, fu, allora, immediatamente ordinato ai monaci di liberarsi di quel “coso” e di acconciarsi a far pubblica penitenza per evitare che l’ira del re calasse, come una mannaia, sui corpi di quegli imbecilli fratacchioni che si erano fatti così platealmente turlupinare.
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