Religione

La ragione contro il fanatismo: #jesuisCharlie nella Roma di Lucrezio

11 Gennaio 2015

Sono questi giorni in cui si ha bisogno di bellezza e di ragione. Quindi, di filosofia.

Giorni che ci hanno visti spettatori di un male irrazionale eppure premeditato nel cuore dell’Europa. Da lontano, dall’Africa, le grida ridotte ad eco di migliaia di vite perdute.

Minuto dopo minuto abbiamo preteso di sapere, di essere informati, di fingerci testimoni oculari là dove non eravamo. Siamo stati per giorni tutti islamisti, tutti giornalisti, tutti esperti di sicurezza e di strategia militare. Siamo stati bombardati di informazioni sulle quali è stato facile muoversi in orizzontale, ma difficile andare a fondo e trovare la densità umana di quanto è accaduto.

La sera, allora, il bisogno di silenzio, il bisogno di capire in verticale.

Oggi ho provato la necessità di rileggere un passo di Lucrezio, filosofo e scrittore latino: il suo De Rerum Natura, Sulla natura delle cose, è scritto con una lucidità, una centratura e un’eleganza senza pari. Lucrezio era epicureo e, per questa sua visione del mondo, fu bersaglio di pregiudizi e illazioni in una Roma che, prima di prendere una qualsiasi decisione, si affrettava a consultare il volo degli uccelli o le viscere degli animali. Una Roma che, nei giorni giudicati nefasti, si rifiutava di uscire di casa. Roma in cui ogni imperatore era venerato come un dio.

Lucrezio scriveva per lo stesso fine per cui oggi siamo tutti Charlie -o almeno diciamo di esserlo: per non avere paura. Scriveva per formare opinioni fondate sulla ragione e non sull’ignoranza o sul fanatismo, convinto che solo la capacità di ragionare renda l’uomo libero e indipendente. Lo ispirava la filosofia di Epicuro, certo, ma soprattutto l’ambizione di rendere quel mondo, lo stesso che in questi giorni molti hanno chiamato occidentale, libero da superstizione e pregiudizi, anche e soprattutto religiosi.

Lucrezio non nega che gli dei esistono, affatto. Afferma invece che -e mi va di dire fortunatamente– sono entità superiori che non guardano alle piccolezze della vita umana e all’uso strumentale che gli uomini fanno della religione. Soprattutto, Lucrezio ribadisce che ogni scelta è responsabilità degli uomini e mai una divinità può essere chiamata in causa a sostenerla o a giustificarla.

Di seguito uno dei passi concettualmente e stilisticamente più belli tratti dal De Rerum Natura: si racconta dell’uccisione di una ragazzina, Ifigenia, un crimine che i Greci commettono in nome degli dei. Si tratta invece di una decisione frutto d’ignoranza e superstizione, dettata da un oracolo che aveva predetto alla flotta greca che mai avrebbe avuto vento favorevole alla volta di Troia senza sacrificare la vita  di un’adolescente. Il delitto fu commesso, racconta il mito, proprio dal padre di Ifigenia, Agamennone.

Al netto della bellezza di questi versi, così necessaria dopo la bruttezza di questi giorni, colpiscono alcune coincidenze: l’età di Ifigenia, poco più che bambina -come la piccola di dieci anni imbottita di esplosivo da Boko Haram-, ma non ancora adulta -come l’adolescente attentatore di Parigi. 

Colpisce soprattutto questa frase: crimini commessi in nome di una religione, ma in realtà contro di essa. Charlie Hebdo e Boko Haram. Speriamo che Lucrezio non si sbagliasse e che nessun dio abbia guardato la miseria dell’uomo questa settimana.

Quod contra saepius illa
religio peperit scelerosa atque impia facta.
Aulide quo pacto Triviai virginis aram
Iphianassai turparunt sanguine foede
ductores Danaum delecti, prima virorum.
cui simul infula virgineos circum data comptus
ex utraque pari malarum parte profusast,
et maestum simul ante aras adstare parentem
sensit et hunc propter ferrum celare ministros
aspectuque suo lacrimas effundere civis,
muta metu terram genibus summissa petebat.
nec miserae prodesse in tali tempore quibat,
quod patrio princeps donarat nomine regem;
nam sublata virum manibus tremibundaque ad aras
deductast, non ut sollemni more sacrorum
perfecto posset claro comitari Hymenaeo,
sed casta inceste nubendi tempore in ipso
hostia concideret mactatu maesta parentis,
exitus ut classi felix faustusque daretur.
tantum religio potuit suadere malorum.

Lucrezio, De rerum natura, libro I

Spesso sono stati compiuti, in nome della religione, ma in realtà contro di essa, crimini empi e crudeli.

Così, in Aulide, i migliori condottieri Greci, il fiore degli eroi, macchiarono di bruttezza l’altare della vergine Trivia con il sangue della giovane Ifigenia.

Non appena la fascia avvolta attorno ai suoi bei capelli le scese uguale, recisa, sull’una e sull’altra guancia, non appena si accorse che suo padre era addolorato davanti all’altare, accanto a lui i sacerdoti nascondevano le armi e alla sua vista il popolo piangeva, muta dal terrore, piegate le ginocchia, cadde a terra. Alla povera ragazza non poteva più servire aver chiamato il re papà. Infatti, sollevata dalle mani dei soldati, fu portata tremante all’altare. E questo non perché, compiuto il rito solenne, potesse essere accompagnata dai cori nuziali, ma perché pura, contro ogni religione, come fossero le sue nozze, cadesse vittima immolata per mano del padre. Tutto ciò affinché fosse data alla flotta una partenza felice e propizia agli dei.

A simili crimini poté convincere la religione, o meglio, la superstizione di essa.

 

In copertina, Il sacrifico di Ifigenia (Cratere Apuliano, 370 a.C., Londra, British Musuem). I dipinti sui vasi, spesso di natura satirica, erano nel mondo antico qualcosa di equivalente alle attuali vignette.

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