Religione

La parola giusta. Quando il silenzio è l’unica risposta che so dare

7 Settembre 2018

Mi hai chiamato,
e il tuo grido ha squarciato la mia sordità.
Agostino

‘Acqua’ è la parola che finalmente riesce a pronunciare Helen Keller, nel bellissimo film ‘Anna dei miracoli’ (1962). È la storia vera di Helen, bambina sordo-cieca che non riesce a collegare le parole interiori al mondo esterno. Questo silenzio di Helen si trasforma però in una violenza continua a cui i familiari si adeguano scegliendo di accontentare Helen in questa suo modo disordinato e irrispettoso di vivere.

Quando però il suo comportamento diventa insostenibile e imbarazzante, viene chiamata un’educatrice per tentare di arginare le sue derive. Arriva così Annie Sullivan, che nonostante la sua inesperienza, prova a rieducare Helen. La prima iniziativa di Annie è quella di portare Helen in disparte, fuori dal suo contesto familiare: va a vivere con Helen in una dependance della casa di famiglia.

Lentamente, Helen fa progressi e modera le sue intemperanze. Nonostante l’educatrice riconosca che il lavoro da fare è ancora lungo, i familiari insistono per rivedere Annie. Si arriva così alla scena decisiva del film. I genitori hanno organizzato una cena per il ritorno di Helen e in quel contesto la bambina riprende immediatamente i suoi comportamenti irrispettosi di un tempo e ancora una volta i familiari si adeguano, accontentandosi dei suoi piccoli miglioramenti.

Ma Annie non accetta questo destino deleterio per la bambina. Durante la cena, davanti ai capricci di Helen, Annie prende la bambina e la porta fuori alla fontana perché si lavi. Ed è lì, che Helen pronuncia per la prima volta la parola acqua, mostrando di essere riuscita a stabilire una relazione con il mondo esterno.

Potremmo rileggere il brano evangelico, individuando delle somiglianze con Anna dei miracoli. Il testo di Marco presenta un sordomuto che viene presentato a Gesù. Forse le persone che lo accompagnano non capiscono o non accettano il silenzio di quest’uomo. Può darsi che non siano riusciti a trovare altra soluzione. Reagiscono davanti al suo isolamento.

È anche vero però che questo sordomuto, chiuso nel suo silenzio, somiglia anche a me, a noi, quando ci viene voglia di spegnere la comunicazione, quando non riusciamo più a esprimere quello che sentiamo dentro, quando non vogliamo più ascoltare le parole violente, inutili, cattive che girano sulla nostra testa.

In una cultura in cui impera un abuso della parola falsa, viene voglia di essere come questo sordomuto, ci viene voglia di troncare ogni rapporto con il mondo esterno, siamo tentati di rinchiuderci nel nostro isolamento.

Credo che Gesù abbia riconosciuto il bisogno di intimità autentica di quest’uomo. Gesù ha intuito ciò di cui quest’uomo aveva veramente bisogno. E infatti lo porta in disparte. Sembra quasi paradossale: il suo problema era l’isolamento, e Gesù lo porta ancora più lontano. Lo aiuta a prendere ulteriormente le distanze.

Ma quell’isolamento e quella distanza sono necessarie perché quest’uomo desidera una comunione vera, una comunicazione autentica, una relazione onesta. I gesti di Gesù esprimono un’intimità profonda: Gesù mette le dita negli orecchi e gli tocca la lingua con la sua saliva. Sono gesti che esprimono una particolare intimità. Forse è questo il vero bisogno che sta dietro quel mutismo: il bisogno di relazioni sincere.

Gesù non cerca di colmare quel silenzio con le parole, ma gli consegna l’unica parola necessaria: “Apriti!”. E quel comando, prima ancora che alle orecchie e alla bocca, è rivolto a quell’uomo. Gesù lo invita ad aprirsi. Apriti alla vita, apriti a questo mondo anche se ti sembra crudele e violento. Non rinunciare a vivere!

Ed è qui che Marco riferisce un particolare interessante: non ci dice semplicemente che quell’uomo torna a parlare, ma dice che torna a parlare correttamente. Ciò vuol dire probabilmente che la sua difficoltà stava nel poter comunicare in maniera corretta. Forse ciò che lo ha spinto al silenzio è stata la percezione di non sapere comunicare, l’esperienza di non sentirsi compreso, il tentativo maldestro di condividere ciò che sentiva o pensava, forse si è sentito giudicato nella sua consegna del proprio vissuto. A volte succede anche ai bambini: quando si sentono giudicati o svalutati per i loro pensieri, diventano timidi e chiusi.

Ma nonostante questa esperienza, la gente che è intorno mostra di non aver capito il senso di quel gesto: continuano ad abusare della parola. Gesù infatti intima loro di non diffondere l’accaduto, chiede di essere prudenti, di gestire con delicatezza l’informazione. Ma più vengono ammoniti di non parlare, più diffondono la notizia. E possiamo supporre che l’abbiano diffusa in maniera colorata e mista al pettegolezzo, come di fatto vediamo che accade quotidianamente.

Gesù invita invece semplicemente a contemplare: cosa vedi? C’è un uomo che fa parlare i muti e sentire i sordi. Non sarà forse lui il messia? E solo nel silenzio puoi cercare risposte a queste domande. Nell’abuso della parola, la contemplazione delle cose profonde si perde.

*

Testo

Mc 7,31-37

Leggersi dentro

  • Qual è il tuo rapporto con le parole?
  • Sai essere discreto su quello che riguarda te e gli altri?

 

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