Relazioni

La lezione di Pasqua. Vivere è nascere

13 Aprile 2019

La vera morte non è il termine della vita; è quanto, fin dall’inizio, impedisce di nascere (P. Beauchamp)

 

La storia della rivoluzione di Franco Basaglia, lo psichiatra che ha completamente cambiato in Italia e in Europa, la cura dei “matti”, ha inizio con il suo arrivo nel manicomio di Gorizia nel 1962. Cominciò con l’abbattimento di muri e reti che separavano gli ospiti in ambiti ben delimitati. Un paziente sul giornale dell’istituto scrisse: “Nel nostro reparto sono aperte porte che da anni eravamo abituati a vedere sbarrate. Ora possiamo circolare liberamente e il posto è sufficiente per poterci muovere durante il giorno, anni di immobilità forzata hanno lasciato la loro impronta. Ma ora che possiamo muoverci, dobbiamo farlo, non dobbiamo più rimanere ore e ore prostrati in un angolo” [1]. Come segnala questo commento finale la libertà era un impegno a Gorizia, non un risultato. Medici e infermieri si accorsero da subito che la possibilità di essere liberi non garantiva il desiderio della libertà. Molti pazienti erano paralizzati da anni di divieti e non volevano uscire dalle stanze e dal reparto. Ci vollero anni per arrivare alla mobilitazione dell’intero ospedale.

Io credo che ci sia qualcosa di vero per tutti in questo racconto.

Quando nasciamo in una famiglia fin dall’inizio si stabiliscono per tutti noi dei legami molto importanti. Con i nostri genitori, con i nostri fratelli e sorelle. Legami necessari e indispensabili. Ma chiamati un giorno ad evolvere.

Quando Adamo riconosce Eva come l’aiuto che Dio ha voluto per lui, la Scrittura aggiunge: «Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne» (Gen 1,14).

C’è un lasciare che è necessario per crescere, per vivere la libertà. I legami della famiglia stabiliti nella nascita potrebbero imprigionare e soffocare più di quanto permettono di vivere. Potrebbero entrare nel meccanismo della riproduzione senza sosta che compromettono il pieno sviluppo di nuove relazioni.

Alcuni, senza neppure saperlo, non percepiscono questo rischio, chinano la testa e si votano all’infelicità.

Altri, più consapevoli, vedono questi legami, ma la paura di crescere è tale che si rassegnano a questa prigionia. I legami diventano catene che accettano senza liberarsene.

Altri ancora invece accettano con pazienza di scioglierli questi legami. E corrono il rischio di nascere a sé stessi, di vivere in prima persona, di ascoltare il proprio desiderio.

Quando il popolo di Israele si trova sulla spiaggia del Mar Rosso, alle spalle ha il faraone e il suo esercito e davanti il mare.

Per un momento rimpiange la prigionia egiziana in preda al panico per l’ignoto che lo attende se si mette in viaggio: «Mancavano forse tombe in Egitto, per portarci a morire nel deserto? Che cosa hai fatto, facendoci uscire dall’Egitto? Era appunto questo che ti dicevamo in Egitto: “Lasciaci stare, ché serviamo gli Egiziani!” Poiché era meglio per noi servire gli Egiziani che morire nel deserto» (Es 14,11-12).

Viene il momento prima o poi in cui siamo chiamati a decidere se il passo verso la libertà lo muoviamo verso un muro insormontabile, un varco buio e impenetrabile che ci costringe alla morte della schiavitù, o verso luce della vita e della libertà.

E’ il mistero della Pasqua cristiana.

La lingua inglese lo esprime con lucidità. Pasqua si dice “Easter”, parola con la stessa radice di est, il lato dove nasce il sole. Domenica si dice “Sunday” cioè giorno del sole. Il mistero della Pasqua è legato all’est, luogo della luce e della vita, della nascita dei giorni come racconta ogni alba.

Cosa potrebbe incoraggiarci nel nostro cammino, cosa potrebbe indurci a muovere passi così importanti come quelli che conducono a disubbidire alla paura per cercare la luce e la vita? Una parola può incoraggiarci, una presenza. Per gli ebrei ci fu Mosè ad invitare gli ebrei, in nome di Dio, ad entrare nell’acqua.

“Rischiando una risposta, alcuni parlano di energia vitale; altri di qualcosa che, nell’uomo, supera l’uomo, di trascendenza; altri ancora di Dio…Così, penso, san Giovanni: “Nessuno, a meno di nascere di nuovo, può vedere il Regno di Dio” (Gv 3,3). Per l’evangelista, l’autentica conoscenza di Dio è legata alla nuova nascita. E quando dice che ci vuole questo passaggio per vedere come Dio regna, egli sceglie di chiamare “Dio” ciò o colui da cui l’uomo riceve di nascere vivo e libero allorquando sceglie di affrontare la morte” [2].

[1] John Foot, La “Repubblica dei matti”. Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia(1961-1978), Feltrinelli, p.103-103
[2] A. Wenin, L’uomo biblico. Letture nel Primo Testamento, EDB, p.93

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