Religione

La fame delle cose vere. Quale amore sazia il cuore?

1 Giugno 2018

Ma queste cose, fratelli, si chiamano Sacramenti, poiché in essi una cosa si vede, un’altra si intende.

Sant’Agostino

Il famoso sociologo, Bauman, diceva che sposarsi è diventato oggi come imbarcarsi su una zattera fatta di carta di zucchero. Siamo così incapaci di relazioni solide e durature, che spesso imbarchiamo acqua e affondiamo. Amare è sempre stato faticoso e complicato, ma oggi sembra davvero difficile nel tempo delle relazioni mordi e fuggi. Per noi, abituati ai contatti più che alle relazioni, è difficile restare quando la vita diventa pesante e le cose non funzionano come le avevamo immaginate nei nostri sogni.

Nella Bibbia, tra le varie immagini, quella che emerge con preponderanza per descrivere l’amore tra Dio e il suo popolo è la metafora nuziale. Dio è lo sposo di Israele. E proprio perché il matrimonio è un patto, Dio si impegna a essere fedele al suo popolo. Come però dirà la lettera agli Ebrei, non ci può essere alleanza senza spargimento di sangue (Eb 9,22). Un’alleanza non si fa semplicemente a chiacchiere, ma richiede un segno tangibile del proprio impegno. Il sacrificio dell’animale ucciso è un segno sensibile del patto che viene sigillato. Il sangue è il simbolo della vita e sta al posto del sangue dei contraenti. In ogni relazione d’amore c’è un impegno: «do il mio sangue per te», usque ad affusionem sanguinis, fino a buttare il sangue per te.

Nella notte della liberazione dall’Egitto, Dio ordina a Israele di uccidere un agnello non solo per mangiarlo, ma anche per segnare gli stipiti delle porte con il sangue dell’animale: l’angelo di Dio vedrà quel sangue e riconoscerà un’appartenenza e passerà oltre senza sterminare i primogeniti in quella famiglia. Nel sangue dell’agnello, Israele è salvato perché amato, perché appartiene a Dio.

Quando Dio rinnoverà la sua alleanza in maniera definitiva ed eterna non più solo con Israele, ma con l’umanità intera, al posto dell’agnello ci sarà suo Figlio. E proprio perché l’alleanza richiede spargimento di sangue, il Figlio viene offerto in sacrificio. Non più le porte delle nostre case, ma i nostri cuori saranno segnati dal sangue, non dell’agnello, ma del Figlio, il vero agnello e il vero sposo.

Prima ancora che sulla croce, proprio come segno di un sacrificio non subito, ma scelto, il Figlio offre il suo corpo e il suo sangue, cioè la sua vita, si immola, si lascia condurre come agnello mansueto al macello. Gesù offre il suo corpo e il suo sangue affinché Dio possa sancire in maniera eterna e irrevocabile il suo patto d’amore con l’umanità.

Dio si lascia mangiare, diventa il nostro nutrimento, l’alimento che ci dà vita. Mangiare vuol dire mettersi in relazione con il mondo, introdurre dentro di noi una parte della realtà, vuol dire accogliere quello che c’è fuori e lasciarsi nutrire. Il modo in cui mangiamo, e quello che mangiamo, racconta la nostra relazione con il mondo, con gli altri, con la realtà. Mangiare Cristo vuol dire riconoscere che solo lui colma la nostra fame più profonda, significa entrare in una relazione intima con lui, decidere di lasciarci nutrire dalla sua vita. Chi non mangia di Cristo esprime il suo rifiuto di entrare in relazione con lui.

Questa immagine del mangiare ci ha accompagnato fin dall’inizio della Bibbia, quando Dio proponeva all’uomo di mangiare di tutti gli alberi del giardino, tranne dell’albero che stava in mezzo al giardino. C’era dunque un limite da rispettare. La relazione tra Adamo e Dio era precipitata proprio a causa della voracità del primo uomo: Adamo non accoglie quello che Dio gli offre, ma pretende di decidere di cosa nutrirsi. La tentazione distoglie lo sguardo da tutti gli alberi di cui può nutrirsi e lo concentra sull’unico albero che gli fa male.

Ma Dio non si rassegna davanti ai fallimenti umani: mentre sta per essere tradito ancora una volta, le parole di Gesù ripetono quell’offerta originaria, prendete e mangiatene tutti, questo è il nuovo frutto che ancora una volta viene donato alla vostra vita. La parola di Gesù nell’ultima cena è il farmaco che guarisce la malattia del primo uomo. Gesù è il nuovo frutto che ci permette di nutrirci e di non morire più. Tutto si gioca in questa relazione e nel modo in cui decidiamo di mangiare.

*

Testo 

Mc 14, 12-26 

Leggersi dentro

  • Di cosa ti stai nutrendo in questo momento?
  • In che modo lasci entrare Gesù nella tua vita?

 

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