Religione
La chiesa museo di Joseph Ratzinger
«La chiesa “cattolica”, cioè la vera chiesa, non è la chiesa più antica, e nemmeno la chiesa che, nata dopo o esistendo oggi, può vantarsi con maggior sicurezza della continuità e della conformità della sua struttura a quella della chiesa più antica…La chiesa vera, cioè cattolica, universale, è la chiesa dei tempi più remoti, antichi, moderni o contemporanei proprio nella misura in cui nel proprio tempo essa partecipa ogni volta all’essenza della chiesa una, nella misura in cui le è fedele e sa renderle giustizia attraverso la forma visibile che riveste nella storia…fa della vera chiesa non l’amoreggiare con il passato o con il presente, ma lo sguardo tranquillo cu ciò che essa è e rimane in ogni tempo e che costituisce così il criterio della sua cattolicità» (Karl Barth)
Superata la fase emotiva connessa alla notizia della morte di Joseph Ratzinger, che costringe a dire bene di chiunque, verrà inevitabilmente il tempo di bilanci più meditati e frutto di analisi e riflessioni.
Auspico vivamente che nel compiere questo bilancio non ci si dimentichi di un bel libro di Andrea Grillo, teologo cattolico, professore all’Ateneo sant’Anselmo di Roma.
E’ uscito nel 2019 presso Cittadella editrice e si intitola «Da museo a giardino. La tradizione della chiesa oltre il “dispositivo di blocco”».
Le immagini cui allude il titolo sono facilmente identificabili: il museo è destinato a conservare e proteggere per rappresentare ciò che è stato e non è più. Il giardino ospita specie viventi. Per il primo basta la pulizia ogni tanto, il secondo richiede interventi costanti di promozione della vita come irrigatura, potatura, semina…
La tesi complessiva del libro è che la chiesa cattolica abbia più che mai bisogno di giardinieri, ma che invece per effetto di quello che l’autore chiama il “dispositivo di blocco”, rischia di promuovere solo custodi di un museo.
L’esempio scelto per illustrare in cosa consista questo dispositivo è proprio la vicenda dell’esercizio dell’autorità pastorale di Joseph Ratzinger tra la fine degli anni ’70 e l’inizio del secondo decennio del XXI secolo, da arcivescovo di Monaco-Frisinga, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e infine come papa Benedetto XVI. Un processo di paralisi di quell’orientamento alla riforma e ai processi di aggiornamento, che il Concilio Vaticano II aveva provvidenzialmente reintrodotto nella vita della chiesa.
Quella analizzata è una parabola molto lunga, almeno 35 anni, dal 1977 al 2012 e che ha visto Ratzinger esercitare un potere e un’autorità via via sempre più crescente, a livello diocesano, ma ben presto a livello di chiesa universale.
Ogni cambiamento è fermato, ma con il paradosso per un intellettuale che tutti celebrano come grande teologo (i più avvezzi all’arte della piaggeria arrivano a dire il più grande teologo dell’ultimo secolo) con un prevalere dell’affetto sull’analisi concettuale. L’antico finisce sempre per imporsi sul moderno e ogni progetto di riforma è destinato a naufragare, in un attaccamento che Grillo giudica «riconoscibile, e distraente, limpido e insieme oscuro, in cui attaccamento e ragione si fondono e confondono» (pag. 31).
Alcuni documenti e interventi pastorali di Ratzinger vescovo, prefetto e papa sono passati in rassegna come una messa a punto in un crescendo di raffinatezza di quel dispositivo «che funziona da supporto teorico perfetto, quasi da assioma indiscutibile, per affermare un assetto resistente e immobile della chiesa, di fronte ad un mondo minaccioso ed infido, al quale la chiesa non deve piegarsi. Recuperando temi dell’antimodernismo di un secolo prima, il “dispositivo” agisce perfettamente da “blocco” contro un Concilio Vaticano II percepito sempre meno come risorsa e sempre più come “deriva”» (pag.30).
Ciò che è finisce sempre per divenire ciò che dev’essere.
Ma ciò che difetta è proprio il ragionamento per cui l’attaccamento affettivo prevale e la ragione teologica viene per conseguenza ridotta al principio di autorità.
Grillo auspica naturalmente una liberazione e una fine per questo dispositivo.
Ne individua una possibilità nel ministero pastorale di papa Francesco in cui individua l’assunzione dell’ «esigenza di esercizio dell’autorità che i suoi predecessori avevano come sospeso, determinando sempre degli esiti caratterizzati da “paralisi”. Francesco ha disinserito il dispositivo, cambiando sia il ruolo dell’attaccamento affettivo, sia il ruolo della ragione teologica. Qui, a me pare, si colloca un elemento di profonda continuità con il Concilio Vaticano II e di inevitabile discontinuità rispetto al “dispositivo di blocco”. La cui incidenza, tuttavia, non è ancora tramontata» (pag 36).
Ma qui siamo ad una stagione di bilanci tutta nuova per la quale ancora non è certamente possibile una somma definitiva e conclusa.
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