Religione
Io speriamo che me la cavo. Il giubileo, per esempio
Il Giubileo è stato nelle due ultime versioni, molte cose. Pr esempio il tentativo di trovare una “quadra” nella lotta triangolare tra Chiesa, borghesia e classi operaie. La Chiesa nel corso del XX secolo doveva scontare l’immagine di istituzione ferma, comunque di realtà che tirava il freno rispetto alle insorgenze emancipative, più in generale nei confronti di tutto ciò che odorava e suonava «moderno» (il simbolo era il Sillabo di Pio IX).
Nel 1993, in prossimità del Giubileo del passaggio di millennio, scriveva lo storico Alphonse Dupront nel suo Il presente cattolico (Bollati Boringhieri) come la condizione della Chiesa nel proprio tempo era quella di un’istituzione che aveva finalmente guadagnato la libertà nei confronti delle potenze temporali, ma anche una realtà attraversata dal processo di secolarizzazione, e dunque una condizione che evocava il recupero della condizione di anti mainstream contro una modernità omologante.
Era il paradigma avviato con il pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005).
Da allora sono cambiate molte cose, anche se questa tentazione di giocare la carta anti mainstream non sembra essere venuta meno nemmeno ora, a poche ore dall’apertura del prossimo giubileo.
Anche per questo, e proprio per avere una idea del proprio limite non sarebbe sbagliato accompagnare le retoriche riflessive proposte da Dupront circa trenta anni fa, con quelle, forse più «sbarazzine» – ma non meno inquiete – di Roma senza Papa di Guido Morselli (Adelphi)
Roma senza Papa di Guido Morselli è un libro difficile da trovare in libreria (anche quello di Dupront è scomparso da tempo). Varrebbe la pena leggerlo in questi giorni di avvio del giubileo.
Roma senza papa è un lungo racconto ed è la descrizione più disincantata e sconsolata di una Chiesa che non sembra più avere un centro in una città che comunque appare informe, dove tutti sono “ex”.
Guido Morselli scrive Roma senza papa nella seconda metà degli anni ’60 collocando lo scenario che descrive alla fine del millennio. Una realtà che è caratterizzata dal senso di dissoluzione del sacro, dalla slabbratura dei costumi e della vita, dalla perdita di potere di una Chiesa che appare smarrita.
La voce narrante del testo – quella di un prelato che descrive una realtà tra l’attonito e il disincantato – ha una tonalità sarcastica, di sarcasmo amaro, più che ironica, in particolare quando deve descrivere la figura e la giornata del Papa (che Morselli scrive rigorosamente a lettere minuscole).
Il Papa- Giovanni XXIV – vi compare come un manager che passa le sue giornate tra Zagarolo, dove ha fissato la sua residenza, e rare apparizioni in una città ormai senza un volto (forse, più precisamente, senza un’anima). E che nel tempo libero si rilassa. Un amministratore delegato di un’azienda che a stento «tira a campare».
Come aveva intuito 30 anni fa appunto Alphonse Dupront nel suo Il presente cattolico la forza carismatica di quella figura nascondeva un’incertezza profonda. Dietro l’autorevolezza e l’aura di sacro che la circondava si presentava una crisi radicale, perché l’idea non era proporre una versione intellettualmente fondata ma una emotivamente vissuta.
Non diversamente, si potrebbe dire, è per Roma, una città simbolo, che proprio nell’anno del Giubileo vedrà ripresentarsi tutti i conflitti: quelli simbolici, la risistemazione urbanistica, le periferie trascurate.
L’immagine è quella di una facciata impeccabile, ma di una malattia profonda, intima in cui la città del papa non si redime.
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