Religione
Insieme fuori le mura
Relazione di padre Giulio Albanese, comboniano e Direttore dell’Ufficio per la Cooperazione Missionaria tra le Chiese della Diocesi di Roma al Convegno annuale delle diocesi del Lazio organizzato dall’Ufficio per l’Ecumenismo, il Dialogo Interreligioso e i Nuovi Culti della Diocesi di Roma sul tema: “La forza umile dei cristiani”
Padre Giulio Albanese cita come incipit il messaggio di Paolo VI per la Giornata Missionaria Mondiale del 1971 in cui descrisse in modo profetico il tempo presente: il nostro tempo è segnato dalla contrapposizione per vertici di progresso mai prima raggiunti ai quali si associano abissi di perplessità e di disperazione anch’essi senza precedenti. https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/messages/missions/documents/hf_p-vi_mes_19710625_world-day-for-missions-1971.html
Ancora oggi noi viviamo le contrapposizioni tra progresso/regresso, benessere/malessere, ricchezza/povertà. Il nostro è un tempo senza precedenti: oggi meno dell’1% ha una ricchezza superiore al 99% degli abitanti del Pianeta. Nonostante le enormi diseguaglianze sociali, siamo certi che questo è il nostro tempo per gridare la buona notizia. La missione non è questione dei numeri, anche se sono in pochi gli “operai della messe”: siamo tutti chiamati a rimboccarci le maniche.
Son passati sessanta anni dal Concilio Vaticano II ma dobbiamo considerare come l’impianto mentale per ciò che concerne la missione è spesso preconciliare. La preoccupazione di nostro Signore era di segno diverso. Prima del Concilio l’”extra Ecclesia nulla salus” portava gli evangelizzatori a battezzare a più non posso. Quel che ci viene chiesto: la spiritualità missionaria è vita secondo lo Spirito.
Il rischio, sempre in agguato, è quello o di cadere nell’intimismo o nel filantropismo.
Papa Francesco ha spiegato molto bene nell’Evangelii Gaudium, il suo documento programmatico, che il tempo è superiore allo spazio, i cambiamenti in 60 anni hanno superato le conoscenze dell’ultimo milione di anni. Egli ha affermato che la nostra non è un epoca di cambiamenti ma un cambiamento d’epoca.
La sfida è spirituale e culturale, un cambio di mentalità cui siamo chiamati.
Papa Francesco quando parla della Missione nell’Evangelii Gaudium, dice fondamentalmente quattro cose, quattro aspetti fondamentali che ci riguardano.
Dare ragione della speranza che è nei nostri cuori. Questi martiri erano missionari ma su cosa si fondava la loro testimonianza?
Per Papa Francesco, innanzitutto, la missione ha una valenza comunitaria. I Comboniani pubblicarono un opuscolo “Insieme fuori le mura”. Papa Francesco è chiaro: come Chiesa dobbiamo essere inclusivi, dobbiamo accogliere quell’umanità dolente della quale anche noi facciamo parte; spalancare le porte, non chiuderle; questo ha fatto Gesù, venuto per le “pecore perdute”. Ad esempio quella della mobilità umana è una delle sfide che sono sotto i nostri occhi.
Seconda cosa: uscire dalle mura. La nostra è una fede da beduini, è una fede nomadica, la missione non è in Chiesa ma fuori le mura.
Questo dobbiamo dirlo in particolare a quei personaggi che si definiscono “tradizionalisti”. Attenzione! Il “tradere” è il “trasmettere” in maniera dinamica la fede.
Dobbiamo mettere in discussione il nostro stesso linguaggio, Papa Francesco questo lo ha chiesto esplicitamente! Siamo consapevoli che i giovani parlano altri linguaggi e il nostro diventa spesso per loro non comprensibile?
Terzo: il locus per eccellenza della missione è la periferia, i luoghi che hanno bisogno di essere raggiunti. I poveri devono essere il nostro riferimento.
Il cardinal Lercaro quando parlò della povertà disse che è il locus magnum della Chiesa.
Dobbiamo intenderci sul significato attribuito alla povertà, ai poveri.
La povertà è un valore o un disvalore? Nel 2013 Papa Francesco disse che i poveri sono la carne di Cristo. Queste sono categorie teologali, non solo economiche e sociologiche.
Attenzione: da un punto di vista Evangelico le Beatitudini sono il nostro orizzonte. La povertà non può essere intesa come mistica della miseria ma come affermazione della condivisione del bene comune.
Papa Francesco ci chiede di non fare proselitismo ma come Chiesa di dare il buon esempio per agognare l’auspicato cambiamento.
Quarto: fondamentale non delegare.
È evidente, guardando alle nostre realtà diocesane, che dobbiamo evitare la tentazione di delegare la missione a qualcun altro; da una parte è importante la ministerialità ma ricordiamoci che la Missione è una; l’8.12.1990 nella Redemptoris Missio Giovanni Paolo II distinse la missione in tre parti, oggi andrebbero riviste: pastorale, nuova evangelizzazione, ad gentes. Per Martini da un punto di vista biblico questa distinzione è superata: la missione è una, e deve avere un orizzonte globale, la globalizzazione intelligente di Dio.
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