Religione
IL VOLTO DI GESÙ, Il PANNO DELLA VERONICA E LA PANDEMIA
Questa pandemia fa sentire fortemente l’assoluta incapacità al cospetto della morte: non ne osserviamo neppure il sotteso valore sacro, perché le sue liturgie, quelle del culto del sepolcro, del rispetto del cadavere, non sono più ammesse.
Non possiamo salutare gli ammalati di Covid, toccarne la mano per l’ ultima volta, accarezzarne il volto, vederli sorridere o piangere prima dell’ultimo viaggio: come se fosse profanata la pietà e la misericordia di Dio.
La peste, ci aveva insegnato Camus, è orribile per questo: si abbandona l’altro al suo crudele destino, alla solitudine muta, alle fosse comuni, senza pudore alcuno; tutto sarà ammassato e cremato, non bisogna lasciare alcuna traccia, perché l’infezione del morbo si propaga, come avveniva con i monatti di manzoniana memoria.
Questo iato fra l’umano ed il disumano, questo perseguire perverso, corrosivo, progressivo dell’ancestrale bestialità che colpisce tutti, ci induce a capire, nella Pasqua che si approssima, che forse la vita-nella scissione tra il sapere ed il non sapere -si desertifica nel buio del nulla, nella sua irriducibile cupezza.
E alla VI stazione il volto di Gesù è deterso con un panno di lino dalla Veronica: lo avevano detto nelle Sacre Scritture che dovevano trovare compimento: “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia” (Isaia 53, 2-3).
E quel cencio, nel quale si stampò il Suo volto, non levigherà i ripudiati dalla pandemia, nessuna Veronica detergerà, come avvenne con il Cristo, il viso dei nostri malati, nessuna Madre potrà vedere, per l’ultima volta il suo Figlio, nessuna carezza di lino mitigherà la solitudine crudele degli abbandonati dalla Storia.
Ci resta la preghiera per invocare Dio, se c’è ancora.
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