Costume
Il legno, l’incenso e la misericordia. Roma festeggia Padre Pio
Il mio primo confessionale sapeva di legno. Ci si inginocchiava e dalla grata era già tanto se potevi percepire il tono della voce del sacerdote che faceva cominciare tutto sempre con un segno di croce. Ma quella non era la mia prima vera confessione, perché nel corso del catechismo per prepararmi alla comunione mi ero già confessato. Ma faccia a faccia, perché la grata non andava bene per un bambino di sette anni. Ma quel profumo di legno arrivò, insieme alle mie prime ginocchia di legno di un confessionale. E insieme ad esso quel senso di mistero di appartenere a qualcosa di più grande. Poi, fino ad oggi, i momenti di confessione sono diventati quasi tutti faccia a faccia. E sono diventati sempre più dei momenti di confronto e di preparazione a vivere, per quanto mi era possibile, un po’ più intensamente come il Vangelo insegna.
Io non ho mai conosciuto Padre Pio. Sono stato da pellegrino a Pietralcina. Ho visto con stupore e con un misto di piacere il santuario che a lui è stato dedicato. Ed ho sempre avuto l’idea che il suo confessionale profumasse particolarmente di legno. Di incenso intriso di legno, per la precisione. Non so se avrei avuto il coraggio di confessarmi con lui. Perché tra il detto ed il non detto non fa certo piacere essere colti in flagrante. Credo che fossero interminabili le file per avere il privilegio di inginocchiarsi a quella grata. E che fossero interminabili anche le liste delle cose che a lui venivano dette da tutti coloro che dalla sua mano cercavano assoluzione, benedizione e conforto. Mi sono sempre chiesto come collocare una figura del genere in quello che è stato definito il ‘secolo breve’. Un’anima santa che ha insegnato a tutti il sapore del legno.
Legno. Di legno era fatto anche l’ultimo vascello che accolse a braccia stese il Cristo. Di legno. E di un legno rude, due assi disposti malamente per perpendicolare. Non una croce geometricamente perfetta come quelle che si vedono nelle chiese. Una croce tozza e sbilenca, particolarmente scomoda direi. Un simbolo del mistero, di quello stesso mistero che aleggia da ogni confessionale che si vede emergere dalla penombra ancora in alcune chiese. Un segno di riconciliazione, intesa anche come virtù civile ed umana di potersi riaccordare con se stessi e di potersi ritrovare integri, una volta per tutte, appena rialzati da quella grata che a me ha sempre fatto vedere ben poco, ma che mi ha fatto capire tanto sul senso del limite. Da quel legno mi rialzavo sempre più forte e sicuro di come mi ci ero accomodato. E quel profumo faceva tutto il resto. Era incenso intriso di legno, lo ricordo perfettamente, e portava inevitabilmente verso l’alto. Ed ero incenso intriso di legno, nonostante vedessi poco e nonostante continui ancora a sapere poco nell’immenso mistero di un Dio morto in croce.
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