Geopolitica
Il genocidio armeno: lo scontro tra Erdogan e Papa Francesco
Le dichiarazioni di Papa Francesco in occasione della messa solenne dedicata al martirio armeno il 12 aprile scorso hanno lasciato il segno: non solo per aver bollato le marce della morte attuate a inizio Novecento dai Giovani Turchi come “primo genocidio della Storia”. Ma anche (e soprattutto) per averle con chiarezza equiparate agli stermini criminalmente perpetrati dal nazismo e dal comunismo.
Una condanna durissima e senza appello dunque, che ha innescato non a caso la veemente reazione del ministro degli esteri di Ankara, Mevlut Cavusoglu, il quale ha prontamente richiamato il nunzio apostolico in Turchia, Antonio Lucibello, per esprimere tutto il proprio disappunto, dal momento che con queste parole il papa avrebbe aizzato “xenofobia e intolleranza”. Un disappunto, al quale è seguita l’argomentazione, secondo cui la nozione di genocidio si rivelerebbe un concetto di tipo eminentemente “legale”: risulterebbe pertanto fuorviante parlare di “genocidio armeno”, dal momento che nessun tribunale internazionale competente si sarebbe espresso in merito (come invece accaduto, ad esempio, per il caso del Ruanda). Le parole del papa esprimerebbero dunque un tentativo di “discriminare” i musulmani davanti ai cristiani. Il ministro ha infine concluso asserendo che saranno presto prese dal governo di Ankara delle ancora non meglio precisate “misure” contro la Chiesa Cattolica (sostanzialmente una neppur tanto velata minaccia di ritorsione).
Che i rapporti tra Ankara e il Vaticano fossero problematici non è cosa nuova. Già Giovanni Paolo II nel 2000 aveva espresso una ferma condanna del genocidio armeno molto simile a quella oggi pronunciata da Francesco. Con l’ascesa al potere di Erdogan poi la situazione non è granché migliorata. A farne le spese fu Ratzinger, che durante la visita apostolica del 2006 si vide sostanzialmente costretto a ritrattare le proprie posizioni espresse da cardinale sull’opportunità di far entrare la Turchia in Europa: il tutto per cercare di intrecciare relazioni più stabili con un paese neanche tanto latentemente ostile al Cattolicesimo. In quel caso Erdogan (dopo tutta una serie di polemiche) decise alla fine di incontrare (seppur brevemente) il pontefice, sembrando inaugurare un clima di maggiore distensione.
Una distensione che è parsa proseguire con la visita apostolica dello stesso Francesco quattro mesi fa, in cui i rapporti tra Erdogan e il papa si sono mostrati particolarmente cordiali e disponibili. Una distensione che – pur tra non poche difficoltà – è sembrata reggere per anni. Fino ad oggi.
Difficile infatti che la reazione turca alle esplicite parole del papa si fermerà ad enunciati astratti: le minacce del ministro Cavusoglu sembrano d’altronde preludere a qualcosa di molto concreto. Dal canto suo Francesco proprio oggi ha rilanciato: rivendicando per la Chiesa il diritto (nonché il dovere) di asserire sempre con franchezza la verità. Manifestando così l’intenzione di non cedere minimamente sulla questione, scegliendo – anzi – uno scontro frontale con Ankara.
A questo punto è allora lecito interrogarsi sulle motivazioni che possano aver indotto Francesco ad una presa di posizione così radicale, in barba ad ogni principio di Realpolitik. Al di là del sacrosanto diritto che ha un papa infatti di affermare quello che ritiene opportuno sostenere, è difficile credere che le sue dichiarazioni siano frutto di spontaneità ingenua. Che, in sostanza, non abbia tenuto conto delle possibili ripercussioni che le sue parole avrebbero potuto provocare in un paese “difficile” come la Turchia. Dinanzi a un presidente estremamente suscettibile (e non propriamente democratico) come Recep Tayyip Erdogan.
In primo luogo dobbiamo ravvisare come la situazione della Chiesa Cattolica turca (ed in generale del Cristianesimo) non sia particolarmente rosea. Storicamente, dalla presa di potere da parte di Ataturk, la Turchia è un paese paradossale: un paese in cui nazionalismo laico e islamismo convivono in un rapporto di amore-odio. Un rapporto ossimorico che trova oggi proprio in Erdogan la propria massima ed energica incarnazione. Un presidente che da una parte rivendica il diritto per la Turchia di entrare in Europa e cerca spasmodicamente di costruirsi un’immagine adeguata davanti ai leader occidentali. Un presidente che ciononostante dall’altra parte non ha mai di fatto messo al bando il retaggio islamico più radicale, che all’uopo tende anzi a rivendicare: un presidente che in tema di diritti delle donne mostra spesso di presentare qualche inquietante assonanza con la shari’ah. La Chiesa Cattolica sa bene allora di essere pericolosamente posta tra l’incudine e il martello.
Da una parte l’incudine dell’islamismo, che vede automaticamente il Cristianesimo come fumo negli occhi: quello stesso islamismo che protestò fanaticamente durante la visita di Benedetto XVI nel 2006, senza citare casi estremi come l’assassinio di Don Andrea Santoro. Quell’islamismo che viene opportunamente solleticato da Ankara laddove ce ne sia bisogno. D’altronde la suddetta affermazione del ministro Cavusoglu sulla presunta “discriminazione” contro i musulmani da parte di Francesco, non ricorda vagamente il titolo del New York Times a seguito del “Discorso di Ratisbona”, “Il papa offende i musulmani”? Quel titolo che – guarda caso – aizzò più o meno strumentalmente l’islamismo di mezzo mondo (compreso quello turco).
Dall’altra parte abbiamo poi il martello del nazionalismo, che ha sempre visto nella diversità entico-religiosa un elemento di chiaro pericolo per la compattezza dello stato (il genocidio armeno nasce del resto proprio per questo motivo). Tanto che le “misure” minacciate contro la Chiesa potrebbero tradursi in atti volti a limitare ulteriormente la libertà dei cristiani in Turchia, assumendo magari i connotati di un vero e proprio Kulturkampf bismarckiano. Non dimentichiamo d’altronde che – al netto di un’ufficiale tolleranza – già oggi i cristiani turchi risultano non poco discriminati (soprattutto in termini sociali) e la presenza della religione professata sui documenti di identità certamente non migliora la loro condizione.
In questo groviglio di pericolose contraddizioni, le dichiarazioni di Francesco sembrano voler mettere le cose in chiaro con Ankara. Il riferimento al genocidio armeno viene dunque ad ingrossare le fila di quegli stati che (come la Francia) già lo hanno riconosciuto. E’ possibile dunque che il papa speri in una tutela dei cristiani turchi accendendo – ancora una volta – i riflettori della comunità internazionale sulla Turchia: e l’isterica reazione di Ankara in queste ore sembrerebbe confermare proprio una tale ipotesi.
Ma il riferimento papale al genocidio armeno è anche qualcosa di più. Un monito, che assume un significato ancora più profondo tenendo conto del periodo di forte persecuzione che i cristiani subiscono oggi in numerose parti del mondo: la rivendicazione – al di là di ogni possibile ambiguità – del diritto a difendere la memoria storica di una delle comunità cristiane più antiche ma soprattutto del diritto a chiamare le cose con il loro nome: il diritto alla verità.
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