Religione
Il dialogo tra fedi riguarda l’educazione civica
23mila musulmani ieri sono entrati nelle chiese italiane e hanno pregato in segno di fraternità. È il primo segnale per trasformare il 26 luglio, data dell’uccisione del parroco Jacques Hamel in una chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, in Normandia, nella «Giornata delle visite» dove i fedeli delle religioni monoteiste possano visitare moschee, chiese, sinagoghe in un clima di fraternità e reciproco interesse.
Sarà una pratica, ammesso che passi, in cui conoscenza si traduce in confidenza.
Tuttavia quella confidenza è difficile che rimanga. Non solo perché ottenuta o conseguita sulla scorta di un’emozione, ma perché sostanzialmente non costruita su un progetto che prende in carica gli elementi essenziali di ciò che è in gioco da tempo, oggi forse più di prima, comunque, a ben vedere, era in gioco anche ieri.
Non lo scrivo per sminuire. I gesti simbolici hanno un peso rilevante nel sistema della comunicazione. Poi bisogna affrontare le questioni di contenuto. E prima si fa e meglio è.
Contenuto significa che quella condizione di confidenza non può rimarne e o limitarsi ad essere un confronto tra fedi. Ma deve cercare le strade per divenire un processo di abilitazione culturale.
Perché questo avvenga, i “fedeli” sono parte importante, ma il confronto intorno alle religioni oggi riguarda le identità e di quelle occorre iniziare a parlare.
Per farlo il luogo non è il luogo di culto. Il luogo è rappresentato dai molti luoghi della sfera civile dove il segno è quello dell’ente pubblico.
Il tema è la pratica della religione oggi, i sentimenti che animano le pratiche di fede, le sensibilità che percorrono i vissuti e le esperienze del religioso.
Con sensibilità intendo: che cosa si associa alla parola identità oggi nel vissuto religioso, che cosa vuol dire tradizione? Come si costruisce e con quali pratiche si acquisisce la conoscenza critica dei testi del sistema di fede a cui si dichiara di appartenere? Come si definisce, si costruisce il corpo testuale della propria pratica di fede e come si indaga quella di altri sistemi di fede? Sono domande che non riguardano genericamente la scuola, ambito e settore in cui da molti anni in Italia, quando non si ha una strategia culturale, si rimanda per trovare una soluzione. La sfera riguarda non il mondo dell’educazione o della scuola, riguarda le aree di competenze delle politiche culturali pubbliche.
Ad affrontarle ci vanno competenze che pongono la religione come storia di una pratica e di una mentalità. Ovvero:la pratica della fede, i contenuti culturali, l’analisi testuale, l’esegesi delle fonti, tutto ciò che concerne e riguarda la religione e il vissuto religioso.
La storia delle religioni e del vissuto religioso è una disciplina, non è un’affiliazione o la descrizione o la narrazione di un’appartenenza. È la pratica dello studio scientifico, critico, analitico, dei testi, delle forme di vissuto, della storia della tradizione e dell’esegesi, dell’immaginario, dell’iconografia, delle forme e delle pratiche della pietà, che attraversano nel tempo ciascun gruppo umano, ne modificano gli usi, le convinzioni, i testi di riferimento. E dunque le credenze, le opinioni, le visioni.
Un discorso pubblico che voglia proporsi un percorso di questo tipo ha prima di tutto la necessità di individuare degli interlocutori competenti di materia, che abbiano un rapporto con la sfera religiosa che costituisce il loro oggetto di ricerca anche simpatetico, ma soprattutto critico, ovvero analitico. Comunque non ideologico. E che siano disposti a mettersi in gioco nello sforzo di pensare a delle opportunità di formazione pubblica.
In mezzo sarà altrettanto significativo capire quanto le amministrazioni pubbliche, siano disposte a pensare in termini di costruzione di un sapere condiviso in cui conta l’abilitazione culturale e non la mobilitazione di appartenenza. In termini concreti: quante risorse sono disposte a investire per la definizione di una educazione civica alla società multiculturale?
Non sarà né facile né di soluzione immeditata.
Scontiamo un enorme ritardo (forse più propriamente denunciamo un’arretratezza). Ci caratterizza la pratica di una formazione culturale in ambito religioso praticamente inesistente; spesso un rapporto con i contenuti del discorso religioso che passa per “catechismi”, dunque per “riassunti”; una scarsa, per non dir nulla, conoscenza diretta dei testi, della storia dell’esegesi. Tutti questo si accompagna a un processo in cui le identità religiose sono in trasformazione, spesso con “fai da te” molto ideologico.
Ma occorre mettere in campo una determinazione e una volontà. Se ci limiteremo alle visite di cortesia, passato il momento dell’apparente rottura del tabù, resterà solo l’esperienza di una volta.
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