Religione
Ho perso il filo. Come resistere nell’epoca dei frammenti
«…a causa del peccato dell’umana discordia, quando ciascuno arrogò a se il primato»
Sant’Agostino
C’è quel momento in cui il filo si spezza e le perle si disperdono, saltellando, sul pavimento chiaro. Sembrano zampilli impazziti di una fontana rimasta aperta, bambini discoli che vanno a nascondersi nei posti più impensati. Provare a raccoglierle sembra impossibile, continuano a scivolare come se fossero palline dispettose.
Già Bauman aveva paragonato il nostro tempo a quello delle perle sciolte, che mancano di un filo che le unisca e che dia senso. Per quanto possa sembrare una visione eccessivamente apocalittica, ho l’impressione che oggi il filo si sia proprio spezzato: il nostro tempo sembra proprio quello delle perline impazzite. E a volte non sono neppure perle autentiche! Non ci sono più fili capaci di tenere insieme le perle.
Come a Babele, il sintomo della frammentazione è l’incapacità di comunicare. Babele vuol dire porta di Dio, ma a questa porta gli uomini vollero arrivarci da soli, costruendosi una strada autonoma. La confusione nasce dunque dalla superbia, quando ciascuno cerca il primato per sé. Le comunità si frammentano, i gruppi si sfasciano, la società si sgretolano nel momento in cui ciascuno vuole imporre la sua strada, credendola migliore di quella degli altri. E così smettiamo di ascoltarci. Ciascuno comincia a parlare la sua sola lingua. Diventiamo mondi chiusi nel proprio isolamento. Satelliti impazziti.
La comunità cristiana nasce, invece, quando «si trovavano tutti insieme nello stesso luogo» (At 2,1). E ascoltano un’unica voce, che prende vita in ciascuno di loro in modi differenti, come lingue di fuoco. Quella parola originaria viene ritradotta nella vita di ciascuno.
Quella voce simile al tuono rievoca la voce di Dio che donò la legge sul Sinai. La Pentecoste era infatti anche la festa che celebrava il dono della Legge per Israele. La legge era per il popolo il luogo dell’identità e lo sarà ancor più quando si troveranno senza la terra. La frammentazione è il segno al contrario di un’identità smarrita, quando non sappiamo più chi siamo.
A Babele la superbia si cela dietro l’apparenza di bene, dietro cioè il tentativo di andare verso la porta di Dio. Ma dietro quell’opera buona si nasconde il tentativo di arrivare a Dio autonomamente, attraverso le proprie forze, escludendo Dio. Potremmo vedere in questo tentativo una prima espressione di quell’eresia che anche di recente il Papa è tornato a condannare nella Gaudete et exultate, ovvero una forma di pelagianesimo, quella superbia per cui l’uomo pensa di potercela fare da solo, con le sue sole forze.
Anche la Chiesa corre il rischio di ridiventare Babele, quando cerca di mostrarsi come Chiesa dell’apparenza e delle grandi opere. La Chiesa diventa Babele quando, pur facendo grandi cose, si svuota di Dio.
La Chiesa della Pentecoste è invece la chiesa invisibile di comunione. Una Chiesa che sa farsi capire da tutti, che non esclude e non divide. Una Chiesa che ascolta la voce di Dio e non le proprie voci.
Questa tensione tra comunicazione e frammentazione la ritroviamo in tanti contesti, dalla politica alla società, nei gruppi e nelle comunità. La parola del Vangelo ci invita a ritrovare il filo per tenere insieme i pezzi. Occorre cominciare a valutare il modo in cui comunichiamo. Le nostre parole possono dividere o unire, possono essere violente o delicate.
La comunità cristiana nasce come comunione che vince la frammentazione. Un cristiano da solo non esiste, ma trova senso nella misura in cui appartiene a una comunità. La Pentecoste ci chiama ad abbandonare la nostra superbia, la presunzione di avere sempre l’ultima parola, per provare ad ascoltare le ragioni dell’altro.
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Testo
At 2,1-11 Sal 103 Gal 5,16-25 Gv 15,26-27; 16,12-15
Leggersi dentro
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