Religione

Dio rimane ancora un’idea politica decente, socialismo e liberalismo sono morti

5 Aprile 2020

Quel giorno di Francesco a piazza San Pietro, solo, sotto una pioggia sottile, su quel sagrato livido avvolto dal blu innaturale della sera, a commuoversi, a sentire una condizione interiore, sono stati soprattutto gli agnostici, gli atei, i senzadio. Del resto bastava osservare i social, il fiume dei commenti. In presenza del flagello, il riconoscimento di una grande potenza mistica tamponava le fragilità. Ed era forse anche naturale che fosse così. Quella quotidianità sempre uguale, che drena energie nervose, che sottrae certezze, le poche che abbiamo, veniva scossa, illuminata da quella luce sparata sulle coscienze del mondo. Perché non crogiolarsi, allora, in quel nuovo, possibile, stato d’animo, foss’anche provvisorio, eppure così protettivo?

I credenti, con più evidente fermezza, hanno guardato con soddisfazione allo sdilinquirsi dei novizi che partecipavano al banchetto commotivo, ma senza esercitare alcuna forma di superiorità morale che non era proprio l’occasione giusta. Meglio condividere, giusto convivere, fare sistema, come si dice, contro quel Male maledetto che si è insinuato tra noi.
Ma adesso, a preghiere ferme, qualcosa forse si può dire su quello che è appena accaduto. E anche sull’importanza di avere una fede. Non necessariamente quella cristiana, né qualsiasi altra religiosa, non essendo obbligati da nessuno, ma una fede in qualche solido principio che ci sostenga nei momenti particolarmente delicati. Per esaurire il concetto in una domanda: a che cosa ci ispiriamo, non credendo a un dio purchessia, per costruire la nostra vita di uomini che non si ispirano a una religione, ma che vogliono comunque sentirsi pienamente realizzati nel libero arbitrio? Un tempo la risposta sarebbe stata semplice e anche molto diretta: ci ispiriamo alla politica, è proprio la politica, i suoi fondamenti, che completa la nostra condizione umana, oltre alle attitudini di base che ovviamente veniamo ad apprendere crescendo. Ma una volta formati fisicamente, e in parte moralmente dalla famiglia di origine, poi era la politica che ti prendeva per mano. Portandoti nel tuo luogo di elezione. Solo che la politica ci ha abbandonati. Mentre dio, qualunque dio, invece è rimasto al suo posto, pur con tutti gli acciacchi del tempo (e le fedi cristiane che negli anni sono crollate). Al momento, dunque, ogni fede è un approdo decisamente più conveniente e gratificante della politica. Non una bella conclusione, ammetterete.

Sin qui non abbiamo parlato di partiti. Non è detto che sarà utile parlarne. Perché sono solo l’espressione finale di quei macroconcetti che abbiamo esaminato appena un attimo fa. Però le due grande, immense, aree politiche, quelle sì che sono meritevoli di approfondimento: liberalismo e socialismo.
Sono le due aree storiche variamente sopravvissute al Novecento, molto acciaccate, poco attrattive, scarsamente attrattive, per nulla attrattive. Senza negarsi addirittura la domanda finale: ma ancora esistenti? Restiamo all’Italia perché è qui che ci tocca di vivere. Che cosa resta della visione liberale nel nostro Paese? Sostanzialmente nulla. Non una forza politica propriamente detta, giusto per tornarci un attimo, neppure nel nome, figuriamoci nelle intenzioni.

L’ultimo che ha parlato di rivoluzione liberale è stato Silvio Berlusconi, sappiamo come è finita. Come abbiamo più volte detto, è stato l’uomo perfetto per risvegliare in ognuno di noi la politica che era confinata in un luogo nascosto della nostra anima. Un paradosso davvero difficile da spiegare e unico nel mondo occidentale: un uomo di evidenti conflitti di interesse, dunque totalmente sconnesso e inadatto a incarnare la visione liberale, che liberava le migliori/peggiori energie di tutti gli italiani. Ci ha reso, in quegli anni, “migliori”, e per migliori intendiamo l’appassionarsi alla politica. Una mano ha dato, una mano ha tolto. Nessuno più ormai oggi ha la forza, si dovrebbe dire la spregiudicatezza, di dirsi liberale. Nascono cose qua e là, senza una vera connessione intellettuale tra loro, ma onestamente è più roba di spocchia che roba liberale. Ci ha fatto riflettere un commento di Roberto Papa su Twitter, quando abbiamo chiesto perché i liberali non facciano (più) sistema. «Estremamente difficile fare sistema per individualisti metodologici quali i liberali devono essere – ha risposto – questa è la sfida che dobbiamo raccogliere». Descrizione perfetta: il liberale è un individualista metodologico. Pensate alla fatica per portare sé stesso negli altri.

C’è ancora la questione socialista, giusto? Qualcosa in Europa si è mosso in questi anni. In Italia no. Dovremmo parlare dell’ex grande popolo della sinistra. Lo stiamo facendo da una ventina d’anni e consentirete anche una certa stanchezza. Le cose sono eternamente le stesse, quando esamini il campo delle cento pertiche di sinistra. È un po’ come l’occhio calato, ti mette tristezza. I numeri non aumentano. E se aumentano, è perché gli altri veramente danno il peggio di sé.

È un popolo cristallizzato, senza entusiasmi, a cui i sussulti renziani hanno anche fatto bene nella prima fase. Il nostro ci voleva ficcare dentro un po’ di liberalismo, ma un paio di lettere gli sono saltate, e ha pompato liberismo anche con una certa sfrontatezza. Non era adatto, troppi personalismi, troppi amici di vicino casa. Alla fine è crollato. Peccato. Ma per coniugare mercato e solidarietà, ecco la formuletta magica, ridurre le diseguaglianze sociali, e al tempo stesso stare al passo con lo sviluppo economico, ci vuole ben altro.

Resta dio. Restano i riti. Le emozioni di un grande vecchio fragile, polacco o argentino poco importa. Resta qualcosa che vibra. Quella di dio, di un dio, è ancora un’idea politica decente. Dove appoggiarsi, magari non avendo fede. Magari credendo di non averla. C’è stato tutto un tempo in cui nell’attesa di essere fragili, abbiamo praticato il libero arbitrio anche con una certa soddisfazione. Peccato che dio ti accolga anche quando, per comodità, tornaconto, o senso appunto di estrema fragilità, cominci a voler dialogare con lui. Sono nati così quei milioni di Scalfari che intorno a novant’anni “vedono” dio. E hanno la pretesa di capirlo, interrogarlo. A noi tocca un’impresa diversa: accorgercene adesso che abbiamo qualche anno meno. Qualcuno si sta già muovendo.

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