Medio Oriente
Perché nessuno accusa Netanyahu di crimini di guerra?
Nel libro della Genesi al capitolo 4, Lamec, discendente di Caino, porta alle estreme conseguenze il percorso della violenza fratricida che la Bibbia inizia a raccontarci con l’omicidio di Abele: “Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette“. (Gn 4, 23-24)
La “legge del taglione”, riportata in Es 21, 23-25 e passi collegati (Lv 24, 19-20; Dt 19,21) costituisce un passo avanti rispetto alla vendetta sanguinaria e sproporzionata testimoniata da Lamec. “Occhio per occhio” non è una norma di vendetta ma una regolazione legale dei dissidi tra le tribù dei figli di Giacobbe che dava proporzionalità alla pena in risposta al delitto.
Nella stele di diorite esposta al Louvre a Parigi è conservato il testo in accadico cuneiforme che ci trasmette, intatto, il Codice di Hammurabi, sesto re della prima dinastia di Babilonia, risalente al XVIII secolo a. C. Tra le norme riportate sulla stele, troviamo quelle della cosiddetta “legge del taglione” (“Qualora un figlio colpisca suo padre, gli siano troncate le mani. Qualora un uomo cavi un occhio ad un altro, gli sia cavato un occhio. Qualora un uomo rompa un osso ad un altro uomo, gli sia rotto un osso. Qualora un uomo cavi l’occhio di un uomo liberato, o rompa l’osso di un uomo liberato, pagherà una mina d’oro. Qualora un uomo cavi l’occhio dello schiavo di un uomo, o rompa l’osso dello schiavo di un uomo, pagherà metà del valore di esso.”)
Il testo biblico si richiama proprio a questa fonte.
“[…] pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido.” (Es 21, 23-25)
Nei Vangeli Gesù di Nazareth va oltre questa norma, invitando a “porgere l’altra guancia” e spingendosi fino a chiedere non solo il perdono e la preghiera ma addirittura l’amore nei confronti del nemico. (Mt 5, 38-48// Lc 6, 27-36)
La preghiera insegnata da Gesù ai suoi, il Padre Nostro, si conclude proprio con la petizione che invita al perdono nei confronti di chi ci fa del male. (Mt 6, 12.14-15)
La parabola del servo spietato è esplicativa di questa necessità: la difficoltà a perdonare è fondata sulla inconsapevolezza che il dono di cui siamo “debitori” è incolmabile, se paragonato al credito che vantiamo verso chi ci ha fatto del male (Mt 18, 21-35).
Se però ci fermiamo all’Antico Testamento, c’è un altro modo di “regolare” i conti.
È quello indirizzato alle popolazioni residenti nella “Terra promessa” e non facenti parte del popolo di Israele.
Queste sono destinatarie di una vera e propria “liturgia”, quella della cosiddetta “guerra sacra”, il cui termine non rientra, propriamente, nel vocabolario biblico.
Il termine ricorrente è quello legato ad un comando, attribuito nei testi biblici a IHWH stesso: הַשׁמָדָה “ash’madà” = “sterminio”, presente 92 volte nei passi veterotestamentari.
Nei racconti deuteronomistici, è Dio stesso che conduce la battaglia alla testa del suo popolo per lo sterminio delle popolazioni presenti in Palestina e non appartenenti al popolo di Israele.
A Giosuè viene dato il comando di passare a fil di spada uomini, donne, giovani, vecchi, fino allo stesso bestiame (Gs 6, 16-21).
JHWH, potente in battaglia, avvolto in una armatura invincibile (Es 15,3), scaglia fulmini sui nemici del suo popolo (Gs 10, 10-11), è condotto nell’Arca sui campi di battaglia (Nm 10, 33-36; 1Sam 4). I soldati vengono “consacrati” (Dt 23, 10.15) per compiere, quali sacerdoti nel nome del loro Dio, un atto sacro, combattendo battaglie e guerre che sono volute e condotte da JHWH stesso (Es 17,6; Nm 21, 14; 1Sam 25, 38). La vittoria è, quindi, attribuita al Signore e il “bottino” è sacro e va a lui offerto come un olocausto, votando ogni cosa allo sterminio.
Chi disobbedisce a questo comando, come il re Saul (1Sam 15), compie un atto sacrilego che viene punito.
Questi testi sono fondati al tempo stesso sulla condanna religiosa verso qualsiasi sincretismo che possa deviare i figli di Israele all’idolatria portata avanti da altre nazioni e nasce fin dall’episodio cruento di Mosè che ordina lo sterminio di tutti coloro che si sono prostrati al vitello d’oro tradendo l’unico e vero Dio (Es 32, 26-29).
Cosa dire? Forse che i comandi divini di sterminio delle popolazioni nemiche per l’occupazione della Terra Promessa rivolti a Giosuè prima, a Saul e a Davide durante il loro regno poi, debbano essere colti non solo come il segno di racconti i cui contorni non sono (fortunatamente?) registrabili secondo coordinate scientificamente storiche ma, e qui la domanda diventa grido, giustificazione e fondazione biblica per uno Stato che ha la Bibbia (Antico Testamento) ma non una sua Carta Costituente?
Certo è che gli Ambasciatori israeliani rispondono in modo veemente a chi chiede di fermare questa operazione militare che sta mietendo vittime nella striscia di Gaza oltre ogni garanzia del diritto.
Così, se il direttore RAI (che si è scusato) e il Festival di Sanremo sono accusati dall’Ambasciatore israeliano in Italia di “diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile”, in reazione al cantante Ghali che dal palco della manifestazione canora aveva chiesto: “Stop al genocidio”, non è da meno l’Ambasciatore israeliano presso la Santa Sede che ha accusato il cardinale Pietro Parolin, reo di aver definito come “sproporzionata” la risposta di Israele all’attacco di Hamas, definendo quella del Segretario di Stato Vaticano “una dichiarazione deplorevole”.
L’ambasciatore fa presente che l’azione militare israeliana è pienamente legittima, sia per il fatto che Hamas abbia trasformato Gaza nella più grande base terroristica mai vista, sia perché la popolazione palestinese sostiene pienamente questo progetto, al punto di aver partecipato attivamente agli eventi del 7 ottobre. Le operazioni militari dell’Idf, “… si svolgono nel pieno rispetto del diritto internazionale”. Secondo i dati disponibili, per ogni militante di Hamas ucciso hanno perso la vita tre civili. Tutte le vittime civili sono da piangere, ma nelle guerre e nelle operazioni passate delle forze Nato o delle forze occidentali in Siria, Iraq o Afghanistan, la proporzione era di 9 o 10 civili per ogni terrorista. Quindi, la percentuale dell’Idf nel tentativo di evitare la morte dei civili è circa 3 volte superiore, nonostante il campo di battaglia a Gaza sia molto più complicato, come già detto“.
Purtroppo queste affermazioni non possono essere verificate, né quella sulla complicità della popolazione civile ai piani di Hamas, né quella della partecipazione della stessa all’azione terroristica del 7 ottobre, né quella sui numeri delle vittime civili rispetto ai terroristi.
Quella che è certa è la storia di questi 70 anni del moderno Stato di Israele.
Il credito verso la storia, presentato all’ONU dagli Ebrei dopo l’olocausto di sei milioni di vittime della follia nazista ha portato alla costituzione del moderno Stato d’Israele con la risoluzione 181 del 29 novembre 1947 che condusse il 14 maggio 1948 alla proclamazione della fondazione dello stesso da parte di Ben Gurion e che ha permesso ai discendenti di Abramo di riprendere possesso di quella “Terra promessa” dalla quale erano stati deportati dai romani dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 d. C.
Dal 1948 non c’è stata terra, né pace, né uno Stato per le popolazioni palestinesi che si son viste cambiare la vita dagli eventi. Israele, unica nazione al mondo a non aver ratificato e dunque disatteso oltre 70 risoluzioni dell’ONU dal 1951 ad oggi, quelle relative alla risoluzione della questione palestinese. Una tra le 5 nazioni al mondo, tra le 193, che non ha una Carta Costituzionale.
Ha però la Bibbia (Antico Testamento) e se qualcuno volesse leggerne i passi citati in modo “fondamentalista” non si stupirebbe di quel che da 70 anni accade al popolo palestinese.
Intanto, le democrazie occidentali si apprestano a celebrare Navalny, chiedendo giustizia per la sua morte. Nessuno in Occidente però, accusa di “crimini di guerra” Netanyahu, né sono state organizzate manifestazioni ufficiali per protestare verso questa gestione del conflitto, che ha già prodotto 30mila vittime palestinesi, tra cui il 40% minorenni.
Dobbiamo dunque uscire dalla nostra orbita e riconoscere che in quella dei paesi “BRICS” almeno il Sudafrica abbia avuto la lucidità di chiamare Israele in giudizio davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja.
Devi fare login per commentare
Login