Religione
Cristianesimo: che farsene, ormai?
Fa un certo effetto leggere Risorse del cristianesimo. Ma senza passare per la via della fede di François Jullien (Ponte alle Grazie). Jullien (nella foto) non è solo uno dei massimi pensatori europei; è uno dei pochissimi che riesca a pensare oltre l’Europa, grazie alle sue competenze di sinologo. In quest’opera si occupa, dunque, di cristianesimo. E comincia così: “Vi chiederete perché mi occupi oggi proprio di questo – ovvero, del ‘cristianesimo’. Che cosa farsene, ormai?”. E poco oltre aggiunge: “Finito il tempo del suo dominio e poi quello della sua denuncia, e oggi nel tempo della sua marginalizzazione, occorre infatti tracciare il bilancio di quel che il cristianesimo ha fatto avvenire nel pensiero”. Non voglio discutere, qui, le risorse che Jullien scopre nel cristianesimo e crede di poter riprendere anche senza la fede; dirò solo che sono risorse che con ogni probabilità sorprenderebbero buona parte dei credenti. Mi interessa soffermarmi sull’incipit, sul punto di partenza del suo discorso. Dunque: il cristianesimo è giunto al momento dei bilanci? E’ qualcosa di cui possiamo quasi ormai parlare al passato? Il punto di osservazione italiano è diverso, naturalmente, da quello francese. Lì una società multiculturale ed uno Stato rigorosamente laico, qui una laicità solo formale, quotidianamente immiserita dai crocifissi nelle scuole e nei tribunali, dall’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, da una classe politica da sempre subalterna alla Chiesa, eccetera. E tuttavia anche da noi l’incrinatura è evidente. La Chiesa cattolica ricorda un po’ una donna che un tempo era stata apprezzata, ma che non ha saputo affrontare il passare degli anni; e non ha saputo farlo, proprio perché ha cercato di restare al passo con i tempi. Come una donna non più giovane che ricorra a vistosi interventi di chirurgia plastica, la Chiesa ha cercato di scollarsi di dosso una lunga tradizione di dolorismo, le madonne con gli stiletti nel cuore, gli atti di dolore e di pentimento, s’è convertita alle chitarre e al giovanilismo, e cerca disperatamente di presentarsi come la religione della gioia e della positività. Papa Francesco è perfetto da questo punto di vista: il degno rappresentante in terra del Buddy Christ del film Dogma di Kevin Smith. Il messaggio un tempo era: sei un peccatore, senza il nostro aiuto finirai all’Inferno. Oggi è: Dio ti ama, è morto per te, per la tua felicità e salvezza! Come non ricambiare un dono così generoso? L’ingratitudine è l’argomento principale dell’evangelizzazione postmoderna. Ma non funziona granché. Tutto questo nuovo mondo cattolico giovane e festoso ha un retroscena inquietante. Lo scandalo della pedofilia è giunto ormai a toccare le più alte gerarchie vaticane; se ieri dietro il volto austero della Chiesa c’era il sostegno al fascismo prima e al potere democristiano, così profondamente corrotto e legato alla mafia, oggi dietro il suo volto sorridente c’è la sofferenza atroce di centinaia di bambini violentati da criminali protetti dall’abito, dal ruolo, dal silenzio dell’istituzione. La Chiesa si è retta per molto tempo e in parte si regge ancora sul sostegno passivo dei non praticanti, o dei tiepidi, dei superstiziosi, quelli che non ci credono davvero ma non si sa mai, dei deboli, quelli che non ci credono affatto ma non hanno la forza per dirsi non cattolici. Si regge sul marchio del battesimo, un segno di appartenenza che ti accompagna per tutta la vita. Ma sono migliaia ormai in Italia gli sbattezzati, coloro che hanno chiesto alla Chiesa di annotare sul registro dei battesimi la loro uscita dall’istituzione e dalla comunità, ed è un numero che aumenta di giorno in giorno. Persone convintamente atee, ma anche persone disgustate dall’istituzione e dalle pratiche criminali di troppi suoi rappresentanti.
Non è morto, il cristianesimo. Ma è difficile negare che sia in agonia, almeno nel mondo occidentale. Se si chiedesse di indicarne in poche parole il valore, di sintetizzare quel che ha dato al mondo, probabilmente molti parlerebbero dell’amore del prossimo, dell’etica del porgere l’altra guancia, delle beatitudini. Sono cose che esercitano ancora oggi la loro suggestione, e non a caso sono al centro del messaggio di papa Francesco. Una strategia però che solo apparentemente è vincente, perché le cose sono due: o si può cogliere, vivere, realizzare il messaggio etico del cristianesimo senza credere nella divinità del Cristo, oppure occorre credere per poter amare. Nel primo caso, è possibile dunque leggere il Vangelo come un qualsiasi testo di etica, senza alcun bisogno di essere cristiani: Gesù come Epitteto, nulla più (e in questo senso Jullien parla, appunto, di risorsa). E la religione può affondare, togliendo il disturbo con i suoi orpelli, rendendo anche più chiaro, più puro il messaggio morale. Nel secondo caso, si mostra una arroganza che è in aperto contrasto con l’esperienza, una superbia che è apertamente sconfessata dai fatti. I cristiani non sono più in grado di amare degli altri, né mostrano alcuna particolare purezza morale. Nel mondo, nei mondi cristiani sull’amore del prossimo ha vinto la demonizzazione dell’altro. Il cristianesimo è la religione che ha distinto l’umanità in credenti e non credenti, pensando e preparando per questi ultimo l’inferno nell’altro mondo e in questo.
Seduti sull’erba a discutere di senso della vita, una mia studentessa mi raccontava ieri di essere stata invitata accoratamente a confessarsi, per via di un piercing al naso, segno sicuro di vita peccaminosa. Lo raccontava ridendo, come è giusto che sia. Ma io pensavo che in passato sarebbe bastato, quel piercing – o qualsiasi altro scarto minimo dalla norma – a distruggerle la vita. E sono piuttosto felice che, interrogandosi sul senso della vita, abbiano parlato di realizzazione professionale, di viaggi, di relazioni, di impegno sociale, di coooperazione internazionale. E nessuno di religione.
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