Religione
La rimozione del Crocifisso costa un mese a pane e acqua
Cristo sarebbe felice di quella rimozione. E approverebbe. Sceso dalla croce per mano di un insegnante dell’istituto per geometri Sangallo di Terni, il professor Franco Coppoli, accusato appunto di aver rimosso dalla classe il simbolo cristiano per definizione e per questo punito con un mese di sospensione dallo stipendio e dall’insegnamento dall’Ufficio scolastico regionale dell’Umbria. Un mese senza i suoi studenti e per gli studenti un mese senza il loro professore. In più a pane e acqua per trenta giorni. Sull’argomento, il prof Coppoli è recidivo, già nel 2009 aveva deposto Gesù in nome della libertà di insegnamento e della laicità dello Stato e anche in quel caso ingaggiando un durissimo duello con il preside, e meritandosi alla fine una denuncia per “insubordinazione” dal parte del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione.
Insomma, sul professor Coppoli gira una taglia cospicua ma il suo non è semplicemente un corpo a corpo religioso, semmai il tentativo di mettere un qualche punto fermo su certi princìpi e su certi diritti. Monumentale, a nostro modesto avviso, l’episodio di qualche tempo fa quando ha impedito l’ingresso in classe ai cani antidroga nel corso di un’operazione di Polizia con la seguente motivazione: «Non c’era un mandato del giudice, mi sono rifiutato di interrompere l’attività didattica per un’azione di repressione senza legittimazione della magistratura».
La domanda è semplice: si può ancora considerare – oggi 2015 – la religione cattolica come religione di stato? Nel senso che appare francamente mostruoso che a decidere delle nostre vite e delle nostre inclinazioni più personali, com’è ovviamente il sentimento religioso, ammesso che esista, siano dei grigi funzionari dello Stato, ai quali tocca la santa inquisizione de’ noantri, decapitando teste con la loro scimitarra impiegatizia in grado purtroppo di togliere il sostentamento economico alle persone, oltre che interrompere il rapporto più profondo che c’è, quello tra studenti e professore. Non c’è davvero qualcosa di mostruoso in tutto questo, non è anti-Stato in purezza?
E poi ai professori vanno date almeno le stesse possibilità, non una di più non una di meno, che sono offerte ai nostri ragazzi proprio dallo stato laico. E cioè la possibilità di poter scegliere se assistere o meno all’ora di religione, che nel caso di un insegnante si traduce in qualcosa di più complesso e ovviamente riconducibile alla presenza in aula del crocefisso. È compatibile con il regolare svolgersi delle attività scolastiche che un professore possa chiedere di illustrare la sua didattica senza che l’Altissimo sovrintenda alla sua anima a mezzo metro dalla sua testa?
Certo, c’è anche il buon senso, naturalmente, che spesso risolve. Ci sono professori, molti professori, che pur non credendo non vogliono e non chiedono la rimozione del crocefisso, come in una sorta di condivisione civile di sentimenti diversi, nel segno di un rispetto reciproco che non deve mancare, nella volontà, questo il motivo più diffuso, di non mettersi in aperto dissidio con le autorità scolastiche. Il professor Coppoli ne fa evidentemente una questione di principio, una sorta di battaglia personale, forse a nome anche di quelli che hanno meno coraggio di lui.
In un campo molto aperto com’è oggi il sentimento religioso, con le spinte enormi che arrivano dall’esterno, è forse utile una riflessione più ampia da parte delle istituzioni. Da quando è scuola, il solo simbolo “esterno” che sia entrato in classe è il crocefisso. Altre religioni, ormai frequentemente rappresentate, potrebbero pretendere il diritto di bandiera con motivazioni di un certo valore. In questo senso, è immaginabile un’estensione materiale dei riferimenti religiosi o, per evitare una strada irta di difficoltà, eliminarli tutti nel senso di più un alto rispetto?
Punire un professore perché ha rimosso il crocefisso dalla classe appare come una sciocca battaglia di retroguardia e qualche fesso di complemento ci impianterà sicuramente la sua questione politica. Dirà che “quelli” che premono alle nostre frontiere ormai ci hanno invaso e noi togliamo i nostri simboli. Anche persone di ragguardevole intelligenza come Vittorio Messori, colpite come tutti dalla strage di cristiani in Kenya, considerano puerile e forse anche ingenuo (anche in malafede Messori?) il pensiero di una pacifica condivisione. Lo scrive apertamente sul Corriere delle Sera: «Perché questi masssacri – si chiede -. Probabilmente il fattore maggiore è un caso esemplare di “eterogenesi dei fini” che deforma ogni ideologia umana, rovesciando le intenzioni, anche le migliori nell’esatto contrario. Ecco, dunque, l’utopia mondialista, le bandiere arcobaleno, tutti i popoli del globo che si tengono frateernamente per mano e vivono in pace, operando per un progresso, ovviamente “”sostenibile”. Ecco ancora, sul piano economico, l’ideologia globalista: un mondo integrato, con razionale spartizione del lavoro e dei beni, con un benessere (o almeno una esistenza dignitosa) per ogni Paese e ogni popolo. In realtà è avvenuto ciò che sempre – historia docet – è avvenuto e avverrà: nobili gli obiettivi, ma disastrosi i risultati».
Ma la questione religiosa non è mai (in) competizione, appartiene a ognuno di noi, e può tranquillamente continuare a vivere solo nella condivisione interiore. Ciò di cui parla Messori, e che ritiene inapplicabile, inimmginabile e neppure auspicabile, nel tempo si è chiamato socialismo e nella versione più evoluta socialdemocrazia. Un obiettivo a cui tendere ancora, nonostante tutto.
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