Relazioni
Come darti coraggio quando pensi di aver sbagliato treno
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
K. Kavafis
Non conosciamo il porto dal quale siamo partiti né sappiamo perché ci ritroviamo su questa barca, ma siamo in viaggio. La barca è salpata, la vita è iniziata. Inviati, buttati o gettati, di fatto siamo qui a solcare queste onde. Timorosi e urlanti, siamo entrati nella vita. Non abbiamo neppure chiesto di essere accolti. Questo mondo, fatto anche di violenza, di incomprensione e di dolore, si è rivelato tutto sommato affidabile. In un modo o in un altro, ho trovato il mio posto, mi sono collocato sulla barca.
Ci portiamo però nel cuore sempre un anelito, il desiderio di riconoscere quella voce che ci ha chiamato alla vita, vorremmo ricordare il luogo dal quale siamo partiti, la nostra origine, l’inizio del viaggio.
Chissà, forse quella voce che oggi, in questo testo del Vangelo, ci spinge a riprendere il viaggio della vita rinnova in noi la memoria di quell’inizio: diceva loro, il verbo è all’imperfetto, indica un’azione che non si è conclusa, è la voce che ancora continua a dirci come stare nel viaggio. Colui infatti che oggi continua a inviare è egli stesso l’Inviato per eccellenza: è l’inviato che conosce l’Origine.
Siamo inviati a due a due, mai senza l’altro. Non esistiamo mai isolati, soli, autonomi o autosufficienti. E ogni volta che ci arrotoliamo sul nostro io, dimenticando l’altro, tradiamo la nostra identità. Quel due dice la nostra realtà: non siamo mai slegati dal mondo. Le mie scelte non sono mai soltanto mie, coinvolgono sempre un altro.
Non viaggiamo mai da soli: l’altro è colui che può testimoniare a mio favore. La mia parola è credibile perché è condivisa da un altro.
Il numero due è il germe della comunità: nasciamo già come parte di un insieme. La comunità non è qualcosa che costruiamo a posteriori, ma siamo fin dall’inizio parte di un gruppo. Apparteniamo sempre a qualcuno. Non apparteniamo mai solo a noi stessi. Anche Gesù, l’Inviato per eccellenza, non è mai slegato dal Padre.
Veniamo in questo mondo fragili, infanti (incapaci di parlare), deboli perché assolutamente incapaci di rivendicare i nostri diritti: siamo agnelli in mezzo ai lupi. Il mondo potrebbe fare di noi qualunque cosa. Iniziamo il viaggio senza alcun potere davanti alle tempeste. L’esperienza della vita ci rimanda tante volte al ricordo di quell’inizio, continuiamo a sentirci come agnelli in mezzo ai lupi. E Gesù continua a mandarci così nella vita: non diventate violenti! Offrite una parola debole, una parola che interpella senza imporsi, una parola che invita senza pretendere!
Il discepolo di Cristo non può mai diventare lupo, ma deve imparare a mantenere la vulnerabilità dell’agnello.
Per evitare di affondare, bisogna liberarsi dei pesi: nel viaggio della vita non possiamo portare bisacce, non possiamo portarci dietro i pesi di tutte le situazioni della vita che infiliamo come pietre nelle nostre valigie. La bisaccia è il segno di chi non riesce a lasciar andar, ma anche di chi non di fida: troveremo oggi ciò che può nutrirci, non abbiamo bisogno di fare riserve, ci sarà una manna per oggi.
Il viaggiatore ideale non porta neppure i sandali ai piedi, perché è un uomo ostaggio della Parola. Solo l’uomo libero indossava i sandali. Gesù chiede di lasciarli, perché non portiamo noi stessi, ma la Parola che un altro ci consegna. L’identità che siamo chiamati a scoprire è quella di servitori della Parola. Forse, scoprire questa identità vuol dire già riconoscere il senso del viaggio.
Se vuoi portare a termine il viaggio non puoi fermarti in ogni porto. È necessaria una libertà dai legami. Occorre imparare a congedarsi, ma anche a sapersi fermare: restate in quella casa…
La casa è l’immagine dell’altro. La vita ci porta a entrare nelle case degli altri, nelle loro vite. Possiamo entrare con delicatezza, chiedendo il permesso, oppure possiamo vandalizzarle, occuparle, spadroneggiare.
Le relazioni possono nutrirci: mangiate quello che vi sarà offerto. Ma è inutile cercare quello che non c’è. In ogni relazione, in ogni casa, possiamo trovare un cibo che nutre, ma sarebbe disonesto e inopportuno chiedere quello che non c’è. Ma in ogni casa può capitare anche di trovare un malato da guarire: siamo inviati per prenderci cura dell’altro non per ucciderlo con le nostre pretese.
Come Gesù stesso ha appena sperimentato, lungo il viaggiosperimenteremo però anche il fallimento, ci sarà anche chi non vuole accoglierci. Nel viaggio della vita, i discepoli vivranno anche l’esperienza del rifiuto. Non è un dramma, ma un momento inevitabile della vita.
Nel viaggio della vita attraverseremo tanti luoghi, probabilmente saremo chiamati ad attraversare anche Sodoma, il luogo della perversione e dell’ambiguità, o forse anche Tiro e Sidone, i luoghi degli affari, dove le relazioni diventano un’occasione per sistemare i proprio conti con la vita, dove ci sentiremo sfruttati e defraudati.
Comunque sia andata, i discepoli tornarono da Gesù pieni di gioia. C’è qualcosa in questo viaggio della vita che tutto sommato sembra dirci che ne vale la pena. E c’è un momento in cui occorre fermarsi e rileggerlo. Ma soprattutto possiamo scoprire che questo viaggio ha un nome, un nome scritto nel cielo, scritto da sempre, un nome che è il senso che non ci ha mai abbandonato lungo la strada.
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In copertina, Edward Hopper, Compartment C, car 293, 1938
Leggersi dentro
- Quali sono i luoghi che oggi stai attraversando nel tuo viaggio?
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