Religione
Che motivo c’è di essere buoni cristiani se si è già buoni cittadini?
Cosa spinge oggi un individuo a diventare cristiano, cosa spinge un ragazzo di oggi a diventare cristiano, c’è una strada possibile o nessuna strada, qualche cartello che ci indichi una via o, per essere giudiziosamente pessimisti o forse semplicemente realisti, è un’operazione tecnicamente impossibile? Tutte queste domande mi sono balzate alla mente in un’unica soluzione vedendo con mio figlio, prossimo diciottenne, «Il caso Spotlight», straordinario documento sull’inchiesta del Boston Globe che ha cambiato la percezione del mondo sulla pedofilia all’interno della Chiesa cattolica. Il film concede nulla al sensazionalismo, laddove l’argomento richiamerebbe mille pruriti che la sceneggiatura ignora, consegnandoci una storia scabra e terribile. Da qui, la domanda finale: che motivo c’è di essere buoni cristiani, se si è già buoni cittadini?
Un ragazzo di oggi non ha un solo vero, buon, motivo per credere ragionevolmente in Dio. Non ne ha per via della cronaca di questi anni, che consegna la Chiesa cattolica alla pubblica piazza della vergogna. Ma non ne ha soprattutto perché considera la fatica di essere (eventualmente) buon cittadino di questa terra come comprensiva d’ogni altra istanza, compresa l’istanza della fede. Qui parliamo di un ragazzo di oggi al quale vengono tenute le briglie sufficientemente sciolte per comprendere il mondo con il suo sguardo, senza imposizioni pregresse, senza coercizioni, senza retaggi obbligati, senza abitudini familiari conclamate. Tutto quello che non abbiamo vissuto noi, ragazzi di un’altra generazione. Quando può incontrare Dio un ragazzo dei nostri tempi? Su base volontaria, probabilmente lo scanserà, soprattutto perché non ha tempo. Né da dedicargli, né da passare con Lui. Quale buon motivo c’è (ci sarebbe) per passare del tempo con Dio? Il motivo sarebbe uno: approfondire. Approfondire temi che sulla superficie delle nostre vite molto veloci apparentemente non emergono. Per cui l’esigenza di fermarsi, ascoltare qualcuno che da fuori ci racconti il dentro, che ci spinga a “perdere del tempo”, prendendolo per noi. Solo che una volta, nelle nostre vite giovanili, molte informazioni non ci arrivavano o arrivavano soffuse, appena accennate, molto timidamente espresse. Era anche una pura e semplice questione di comunicazione, che oggi invece si è fatta immediata. In quel tempo lento, persone altre ci indicavano una via, ponevano il nostro sguardo sulle cose, ci spingevano verso una strada piuttosto che verso un’altra. Spesso potevano essere i nostri genitori, altrettanto spesso i genitori, vuoi per stanchezza vuoi perche mancavano le basi, ci “consegnavano” alla Chiesa. Era lì, in quel momento, che stava per nascere il nostro rapporto con Dio. Cosa sarebbe diventato negli anni successivi? Ognuno di noi potrebbe raccontare la sua storia.
Nella comunicazione globale, che porta nella nostra testa milioni di sollecitazioni, un posto per Dio è ad altissimo rischio. Chi può permettersi il lusso di fargli spazio, così sulla fiducia? Chi ha la capacità di selezionare gli impulsi, dividendoli in buoni e cattivi, creando un “luogo” preciso di meditazione? Un adolescente forse non è in grado di scegliere autonomamente, ma chi può sostenere che sia assolutamente giusto che qualcuno allora scelga per lui? Forse è possibile un’altra strada. Forse è già in atto. C’è dio, e qui la lettera minuscola ha il senso proprio del rispetto, quando ogni adolescente si confronta con la vita e le sue estremità, quando si informa, quando entra soprattutto nella sfera del terribile. Chi può sostenere che ogni ragazzo, leggendo la cronaca bestiale dei due giovani che hanno ucciso un loro amico semplicemente “per sentire l’effetto che fa”, non abbia pensato a un suo dio, anche a un dio delle piccole cose, che possa preservarlo da quell’abominio? Rispetto alle sollecitazioni continue, frenetiche, pericolose, che spingono dall’esterno, questi ragazzi hanno un equilibrio insospettabile. È un dio nascosto o soltanto la fatica di essere buoni abitanti di questa terra?
Certo non piacerà alla Chiesa l’assunto secondo cui se sei già un buon cittadino, sei automaticamente anche un buon cristiano. Né a un buon cittadino, interesserà automaticamente far parte anche dell’altra categoria. Ma è un fatto che Francesco, pastore moderno, riconduca ai temi più civici buona parte della sua invocazione, sul valore del denaro, sul carrierismo che ti mangia, sul merito, sulle deviazioni del potere, sui pericoli della prevaricazione. Vogliamo pensare che sia tutto un caso o forse il Papa ci sta dicendo che la nostra laicità ha un valore assoluto? L’obiettivo di un ragazzo di questi tempi, dei nostri tempi, è essere un “buon cittadino”, un buon abitante di questa terra. Costa molta fatica, è un’impresa ragguardevole, e non è detto che non ricomprenda parti cristiane. Ma la successione dei valori, in questo tempo amaro, pare ormai definita: essere buoni cittadini viene molto prima che essere buoni cristiani.
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