Religione

Cerco un volto… La felicità è diventare finalmente qualcuno

12 Ottobre 2018

«[…] e insomma il bene perfetto è ciò che deve esser sempre scelto di per sé e mai per qualcosa d’altro. Tali caratteristiche sembra presentare soprattutto la felicità».
Aristotele

Cerchiamo, inevitabilmente, per quanto spesso inconsapevoli, un po’ di felicità. Ma in questa ricerca senza fine è facile confondersi. Non sempre abbiamo un’idea chiara di quale sia il nostro bene. A volte il nostro desiderio fa a pugni con quello che ci chiedono gli altri. A volte pensiamo che questa felicità dobbiamo guadagnarcela: nessuno ci regala niente! Ma in tante altre situazioni rimaniamo bloccati perché non siamo disposti a rischiare.

Rimaniamo ormeggiati alla riva, con le ancore ben piantate, con le zavorre gettate per evitare che il venti ci porti via. E quando è il momento di partire, la nave non si muove. Abbiamo nascosto così bene le nostre zavorre, che non ci ricordiamo neppure dove le abbiamo gettate. Una cosa sola è certa: la nave rimane ferma.

Potrebbe essere un po’ questa la vicenda del protagonista di questo passo del Vangelo. Non sappiamo come chiamarlo perché non ha un nome. È uno dei tanti. Uno come noi che da tanto tempo desidera essere felice senza mai riuscirci. E proprio nel momento in cui qualcuno lo invita a rischiare, si accorge di quante zavorre ha seminato nella sua vita.

È probabile che quest’uomo non si sia sentito amato nella sua vita, forse si è persino convinto di non essere amabile. Ha deciso che l’amore, la felicità, si comprano, si conquistano. C’è un prezzo da pagare. E allora ha cominciato nella sua vita a sforzarsi di sacrificarsi sempre di più pur di raggiungere quella felicità desiderata.

La felicità è per lui un diritto che a un certo punto ti deve essere riconosciuto, come un’eredità che ti spetta quando il padre muore. E in fondo nel cuore di questo tale anonimo non c’è alcun interesse per la relazione con un padre: punta all’eredità non all’amore. Chiama Gesù ‘maestro’, gli interessa la sua sapienza non la sua persona. Forse non ci crede nemmeno alla possibilità di essere amato da un padre, forse non immagina neppure che la felicità la incontri esattamente quando ti senti amato da qualcuno come un figlio.

Proprio perché non arriva mai a decidersi, questo tale resterà senza un nome, non diventerà mai qualcuno. È il padre infatti che ti dona il nome.

Davanti a Gesù si rimane sorpresi, spiazzati: quest’uomo era andato da Gesù per  prendere qualcosa, il segreto della felicità, per ricevere un fardello pesante da portare pur di conquistare il premio di produzione. E invece i verbi che Gesù gli propone sono paradossali: gli chiede di vendere, di donare, e soprattutto di seguire lui. Siamo davanti a due logiche opposte: quella del mondo che ci fa entrare nel vortice della conquista, nella brama del possesso, nella ricerca del successo senza farci arrivare mai a essere davvero contenti; e la logica di Gesù che ci indica la strada della perdita, del dono, della sequela dietro a un altro.

E infatti è davanti a questa proposta che questo tale senza nome si rende conto del vero motivo della sua infelicità: ha troppe zavorre, sono talmente tante che forse non si ricorda neanche dove le ha messe. Pensa di possedere tante cose e invece si accorge di essere posseduto dalle cose. Non si muove perché è bloccato dalle tante sicurezze che si è costruito. È così che si altera la dinamica della vita: quando le cose non sono più un dono, ma diventano un proprietà. È il peccato di Adamo che vuole impadronirsi del frutto piuttosto che riceverlo.

Forse un po’ ingenuamente, questo tale ha portato davanti a Gesù i suoi trofei di caccia, quello che è riuscito a fare fin dalla sua giovinezza, i suoi traguardi, forse anche le sue rinunce e il bene che ha fatto. Ma Gesù gli mostra una prospettiva diversa: guardandolo dentro lo amò! Gesù non si sofferma sui suoi trofei, ma guarda quello che si porta nel cuore. Gesù lo ama prima ancora che questo tale abbia dato una risposta alla sua proposta. Lo ama perché, guardandolo dentro, vede la sua fragilità, vede il suo desiderio autentico di essere amato. E forse non a caso, Marco inserisce questo brano dopo quelle due scene in cui Gesù incontra e abbraccia dei bambini. In questo tale senza nome, come in ognuno di noi, Gesù riconosce e ama quel bambino ferito e deluso che abita in ciascuno di noi.

Questo tale non è così diverso da quelli che invece fingono di aver seguito effettivamente Gesù. Anche loro, dice il testo di Marco, erano perplessi davanti alla proposta di Gesù: donare, lasciare, perdere la propria autonomia? E così, anche quelli che apparentemente avevano seguito Gesù, si accorgono delle loro zavorre, si rendono conto di quante sicurezze non lasciate si stanno ancora portando dietro. Gesù infatti guarda anche dentro di loro: il verbo usato qui da Marco è lo stesso che aveva usato poco prima per il tale senza nome, tutti cioè siamo guardati così da Gesù.

In fondo, in qualche angolo del cuore, rimane quella diffidenza davanti alla parola di Dio: sarà proprio vero che il Vangelo può rendermi felice? La sequela sta proprio in questo rischio, in questa tensione, nella quale sei chiamato a tirar su le ancore delle false sicurezze per poter ripartire.

*

Testo

Mc 10,17-30

Leggersi dentro

  • Cosa hai fatto fino ad oggi per essere felice? Ti è servito?
  • Se Gesù guardasse dentro di te, cosa vedrebbe?

 

 

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