Religione

Buonaiuti, teologo scomunicato

29 Luglio 2021

Ernesto Buonaiuti (Roma, 1881-1946), uno dei maggiori esponenti del modernismo cattolico, professore di storia del cristianesimo all’università di Roma, storico insigne e direttore di diverse riviste teologiche, era stato ordinato sacerdote nel 1903, ma nel 1926 venne colpito da scomunica ed esonerato dall’insegnamento, quindi destituito per non aver prestato giuramento al regime fascista. Come studioso indagò molti aspetti e figure della storia della Chiesa, spesso in polemica con le direttive e le gerarchie vaticane.

Il saggio Gesù il Cristo è la sua opera più controversa, iscritta nell’Indice dei libri proibiti come eretica da papa Pio X. Fu pubblicata per la prima volta nel 1926, e due anni fa è stata ripresa dalle edizioni E/O nella “Collana di pensiero radicale” diretta da Goffredo Fofi. Perché questo piccolo libro ha potuto creare tanto scandalo in ambito ecclesiastico? Si tratta di un emozionante e appassionato excursus sulla vita di Gesù, inserita nel contesto storico cui apparteneva. Aprendo la sua narrazione con le parole profetiche di Malachia (“Sulle vostre fronti, tementi il mio nome, sorgerà un sole di giustizia, i cui raggi arrecheranno la guarigione. Voi ne trasalirete di gioia e ne tripudierete, come vitelli tratti fuori dalla loro clausura”), Buonaiuti celebra il sole di giustizia che si annuncia per gli uomini con la venuta di Cristo, dopo il regno di Erode il Grande e durante la dominazione romana.

Un Gesù uomo tra gli uomini, quindi, che appare all’interno di eventi storici luttuosi, violenti, iniqui, a divulgare parole di pace e giustizia, di mitezza e speranza. Lo precede la ribellione anti-romana di un fanatico zelota, Giuda; lo precede Giovanni il Battezzatore che purifica nelle acque del Giordano chi è alla ricerca di un rinnovamento interiore; lo precede una “inquietudine aspra e tremante di ansiose aspettative, nutrite di brividi e di singhiozzi”. In una prosa forbita, immaginosa e inebriante, Buonaiuti ripercorre tutta la vicenda umana dell’“artigiano trentenne, venuto da Nazareth”, descrivendone l’anelito spirituale, l’ansia missionaria, i dialoghi amichevoli e le discussioni infervorate, i luoghi attraversati, i desideri e le delusioni. Quindi il distacco dalla famiglia e dalla bottega del padre, l’abbandono della sospettosa e ingrata città natale, l’arrivo a Cafarnao, le prime predicazioni e i primi seguaci, i prodigi e le guarigioni attuate in mezzo a “una folla oscillante di curiosi, di malati, di pezzenti, che sembrava suggere dalle sue parole un segreto e inesprimibile sentimento di sollievo e di conforto”. Come e cosa insegnava Gesù? “Egli impartiva il suo insegnamento semplice e disadorno, cogliendo le più modeste occasioni, facendo appello ai motivi più familiari della vita quotidiana, traendo lo spunto dagli incontri meno previsti, utilizzando le più consuete nozioni della tradizione religiosa ufficiale”.

Perché un libriccino così ispirato e intenso ha provocato reazioni tanto feroci e isteriche all’interno del Vaticano? Più che al contenuto del testo, le censure e i timori clericali erano rivolti al diffondersi della filosofia modernista, di cui Ernesto Buonaiuti era uno dei principali esponenti. Il modernismo cattolico proponeva infatti di ripensare il messaggio cristiano alla luce delle istanze della società contemporanea, suggerendo una lettura razionalista della Bibbia e dei riti religiosi, rispettosa dell’autonoma determinazione dell’individuo e collettività, emancipata da ogni prospettiva e sistema di valori compiuto e di carattere assolutistico. La Chiesa aveva già condannato il modernismo come eresia a partire dagli inizi del ’900. In epoca fascista, di dittatura ideologica e di compromessi con l’istituzione cattolica (ricordiamo che i Patti Lateranensi furono firmati nel 1929!) tale condanna fu ribadita e aggravata da scomuniche e persecuzioni varie.

La tesi del libro che più poteva sembrare pericolosa era la distinzione tra il Cristo della fede e il Gesù della storia, narrato dai Vangeli canonici, che nulla potevano o dovevano affermare della sua divinità. La severa accusa di fariseismo rivolta alla tradizione religiosa vigente nella Palestina neo-testamentaria venne letta dalla gerarchia ecclesiastica come allusione alla precettistica illiberale e dogmatica, al formulario legalista e alla liturgia codificata messa in atto dalla Chiesa del XX secolo. Come poteva essere altrimenti? Ecco le parole innamorate che Buonaiuti scriveva sul Figlio dell’Uomo: “La stupenda originalità del suo messaggio sarebbe stata tutta nella riduzione, così della disciplina etica farisaica come dell’aspettativa escatologica cantata nella letteratura apocalittica”, in favore del “programma rovesciatore” espresso nel Discorso della Montagna: “Quattro promesse di beatitudine, quattro minacce di maledizione, null’altro. Ma in esse era racchiusa la dottrina sociale più sottilmente sovvertitrice che fosse mai stata bandita al cospetto degli uomini”.

Di un Gesù rispettoso della Legge (“Non un accento ne sarà cancellato”), ma altresì convinto della necessità di un rinnovamento del culto, il teologo scomunicato scrisse: “Gesù rivendica la santità elementare della legge morale, eterna quanto il cielo e la terra. Ma in pari tempo sa di bandire un messaggio cui i poteri costituiti e le autorità religiose resisteranno con accanimento barbaro e con violenza cieca, tratti da una fatalità tragica a reagire brutalmente contro chi ripristina i valori da cui pure essi trassero i titoli e le ragioni della loro esistenza, e con ciò stesso, a segnare, inconsapevoli, il proprio verdetto di morte”.

 

ERNESTO BUONAIUTI, GESÙ IL CRISTO – E/O, ROMA 2019, p. 91

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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