Religione
Ancorati alla speranza
La dimensione teologica, temporale e dialogica della speranza secondo San Paolo nella Lettera ai Romani
Venerdì 20 settembre con l’Assemblea diocesana per l’inizio dell’anno pastorale presieduta dal vescovo mons. Gianrico Ruzza, ha avuto inizio il cammino delle diocesi di Civitavecchia-Tarquinia e di Porto-Santa Rufina (1).
“Ancorati alla speranza” è stato il tema svolto da Don Antonio Landi, docente di sacra Scrittura presso la Pontificia Università Urbaniana che ha illustrato quel che l’apostolo Paolo ci trasmette nella Lettera ai Romani.
“La speranza è un rischio da correre, il rischio dei rischi” diceva Georges Bernanos.
Il contesto dello scenario politico, culturale e sociale odierno, a partire dagli oltre 100 conflitti (non solo Ucraina e Palestina) in corso nel mondo è particolarmente doloroso.
L’antico adagio recita: “Spero, promitto e iuro richiedono tutti il participio futuro!”
Se gli scenari attuali sono davvero così compromessi c’è davvero spazio per la speranza?
L’immagine dell’àncora, che la simboleggia, ci richiama ad un oggetto che deve dare stabilità alla nave.
Dobbiamo cercare di essere “ancorati nel futuro”.
Importante è il contributo delle religioni per la solidarietà verso i poveri e gli emarginati e per l’apertura verso questo “futuro”.
La speranza ha un potenziale sovversivo.
Un modo diverso di concepire la realtà può essere qualcosa di sovversivo.
Quando ciascuno di noi era un ragazzo, avrebbe voluto cambiare il mondo. Crescendo, ognuno di noi ha rinunciato a quest’anelito.
Dobbiamo capire che non possiamo cambiare il mondo ma che dobbiamo invece cambiare il modo di approcciarci alla realtà.
Siamo passati dalla cultura dell’ateismo alla cultura dell’homo-deus.
Io sono dio e di Dio posso fare a meno.
Protagora diceva che homo mensura verum: l’uomo è misura di tutte le cose.
Oggi parliamo di autoreferenzialità, parliamo di relativismo ma già Protagora sosteneva questo.
Per Benedetto XVI adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. La speranza come ancora è fondata in Cristo, Colui che nel passato ci ha salvati e redenti salendo sulla croce, colui che si fa presente nell’Eucarestia, nella Parola, nella Comunità.
“La vera grande speranza dell’uomo può essere solo Dio”. (SPE SALVI n. 27)
Jurgen Moltmann ha rivelato che in nessun’altra religione del mondo Dio si lega alla speranza del futuro.
La speranza cristiana non è attesa di qualcosa di nuovo ma è disponibilità ad accogliere Colui che fa nuove tutte le cose.
Speranza cristiana è prendere coscienza di essere attesi, non di attendere.
Proviamo ad analizzare il nostro linguaggio relativo alla partecipazione della messa domenicale.: “io vado a messa, vado ad ascoltare la messa, vado a partecipare alla messa”. Ci è mai balzato alla mente, al cuore che c’è Cristo ad accoglierci?
Nella lettera ai Romani la speranza del credente è radicata in Dio e deve sostanziare la sua appartenenza alla vita cristiana. La speranza cristiana non è la panacea, non è rassegnazione, il suo contrario è la disperazione.
Paolo è l’autore del NT che dedica più testi alla speranza.
Mai nei Vangeli Gesù è il soggetto della speranza.
Attorno a lui si coagula chi attende e chi spera.
La speranza ha un’intrinseca dimensione teologica, pone il suo fondamento nell’intervento di Dio nella storia.
Secondo aspetto: l’attesa, che è fondata sull’intervento di Dio nella storia è fondata nel tempo.
C’è un patto che si estende dal passato al futuro.
Terza dimensione: la speranza è dialogica: si spera insieme.
Perché concede all’uomo di infrangere la cortina che ci separa da Dio, dagli altri, da noi stessi.
La speranza è dunque contraddistinta, nell’analisi paolina, di queste tre dimensioni: TEOLOGICA, TEMPORALE, DIALOGICA.
Dobbiamo considerare che la speranza è l’antidoto ad uno dei mali del secolo: l’egoismo che porta alla disperazione, il narcisismo.
Prendiamo in esame alcuni passaggi della Lettera ai Romani
1) Abramo: sperare contro ogni speranza; la destinazione universale della salvezza (Rm 4); la figura di Abramo assume valore paradigmatico per tutti coloro che sono giustificati non per le opere ma per la fede. Dio gli concede quella discendenza. Abramo per Paolo è la figura del credente non gentile che non ha bisogno della circoncisione. “Abramo credette e gli fu addebitato per giustizia” (CEI: saldo nella speranza contro ogni speranza; stretto legame tra fede e speranza; Sara era sterile ma Abramo si fida di Dio).
2) Rm 18, 1 – 2,20; 3,21-5,21: la speranza è connessa all’ingresso nella grazia di Dio attraverso Cristo che azzera la distanza creata dal peccato tra gli uomini e Dio. Nella concezione biblica la gloria di Dio indica la sua presenza. Il Dio della compassione, non il Dio adirato. Né il Dio adirato né il Dio misericordioso sono in grado di parlare al cuore del nostro popolo. Dobbiamo parlare a loro.
Si noti bene: l’affermazione “la speranza non delude” altro non significa che: “la speranza non fa vergognare”. Onore e vergogna erano i due parametri di giudizio nell’antichità. Io non mi vergogno del Vangelo. Dio ha dimostrato il suo amore per gli uomini mentre eravamo ancora peccatori. Dio ha donato il suo figlio. Non è un caso che i riti d’ingresso propongano l’atto penitenziale; e che queste parole vengano pronunciate prima della comunione: “o Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa…”
3) “Nella speranza siamo salvati”. L’intera creazione è protesa verso il suo compimento.
In Rm 8 c’è una solidarietà profonda tra creatore, creato e creatura. Dominare il creato non significa essere despoti sul creato ma è invece necessario renderne conto a Dio. Quella della LAUDATO SI’ non è una semplice svolta ecologica ma è la ripresa del dettato genesiaco e della felicissima intuizione di Paolo in Rm 8. “Nella speranza siamo stati salvati” (Rm 8,24). Ciò che appare invisibile e intangibile nel presente.
4) “Lieti nella speranza” In Rm 12-15 c’è la componente etica della vita cristiana. Attenzione a non conformarci allo spirito del mondo. Il tempo di discernimento rischia di essere un tempo perso se non viene vissuto con la novità della vita nuova. Non dobbiamo rinnovare le strutture ma le persone. L’apostolo invita a vivere la carità senza la doppiezza. Non c’è spazio per l’invidia ed è bandita ogni forma di protagonismo che mortifica il prossimo. Gareggiate nello stimarvi a vicenda. Lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera.
5) Avere da Dio la speranza. Le comunità cristiane di Roma affrontavano tensioni tra i forti e i deboli. È necessario spegnere il fuoco di ogni vanto personale. QUANDO NOI CAPIREMO CHE NON DOBBIAMO RIVENDICARE RUOLI MA DISCERNERE CARISMI capiremo che la parrocchia non è il luogo di esibizione di me stesso ma il luogo dove con gli altri sono al servizio. Io so che nulla è impuro in sé stesso e dunque per non turbare un fratello che lo crede lo rispetterò (la questione delle carni offerte agli idoli). Qui il criterio non è la sapienza ma la carità che ha rispetto del fratello. Paolo fa appello ai forti che devono sostenere i deboli senza compiacere sé stessi.
La speranza non è il premio. È il Dio della speranza che fa traboccare il cuore. Concludendo: per Paolo la fede operosa, la carità fattiva e la speranza salda sono le caratteristiche del credente che egli illustra alla comunità di Tessalonica. L’attesa è un atto di condizionata fiducia in Dio.
Chiude con il suo intervento Mons. Ruzza:
“Perché parlare della speranza? Il Giubileo può essere occasione per tutti per riscoprire la speranza. Bisogna innalzare lo sguardo in alto.
Siamo rigenerati ma rispetto a che cosa?
Abbiamo tutti bisogno di rinascere dall’alto per dare una prospettiva eterna ai nostri pensieri e ai nostri desideri. In SPE SALVI il futuro è la relazione con il Signore Gesù.
Credere questo non è un’opzione e non è nemmeno una proiezione onirica.
Io chiedo: le nostre attività che respiro hanno?
Moltissimi giovani non sono attratti e non si sentono interpellati dalle nostre comunità.
Forse il nostro linguaggio a loro non dice nulla.
Forse la loro ricerca è più orientata al mondo social.
La quotidianità che loro vivono corre il rischio di collocarli in una noia pericolosa.
Un’eredità che non si macchia e non marcisce
Dinanzi alle grandi sfide del nostro tempo come i conflitti rimaniamo inerti
Relazioni di pace e di carità autentiche.
Voglio e devo credere che queste persone possano credere nella vittoria di Cristo.
Dobbiamo riflettere sulla vita eterna che ci attende.
È necessario riscoprire la dimensione escatologica della nostra esistenza cristiana
La fraternità fra i viventi è l’unica risposta ai conflitti. Ricerca di unità, condivisione, solidarietà, pace.
Partecipare alla vita civile è l’invito a noi consegnato dalla Settimana Sociale di Trieste.
SPE SALVI: la vera grande speranza dell’uomo può essere solo Dio.
Non possiamo separare la fede dalla speranza.
Porre tutta la speranza in Cristo vigilanza e sobrietà.
Fede è sostanza della speranza.
Concludiamo con le parole di San Francesco d’Assisi: “Dammi una fede retta, speranza certa, carità perfetta”.
(1) http://www.diocesiportosantarufina.it/home/news_det.php?neid=4941
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