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The Boldrini effect

15 Febbraio 2017

Provate a fare un esperimento: digitate i termini “boldrini appello” su Google. Uno sproposito: quattrocentosessantaduemila risultati.  Per carità, niente da dire sulla bontà delle iniziative. Gli appelli della presidente della Camera sono tutti buoni e giusti: contro le bufale, la violenza sulle donne, il cyberbullismo, il capolarato, la povertà e avanti così di questo passo.

Poco meno di quattro anni fa, quando salì al soglio di Montecitorio per ricoprire la terza carica dello Stato, Laura Boldrini era semisconosciuta e il suo cognome finiva spesso per essere equivocato con quello del quasi omonimo economista Michele. Pian piano la presidente si è ritagliata un ruolo di primo piano, e oltre a dirigere i lavori parlamentari ha sfoderato un incredibile attivismo, mitragliando denunce e appelli nei settori più disparati, quasi una versione in carne e ossa di change.org.

Come già detto le iniziative promosse sono tutte pienamente rispettabili e condivisibili. Ciò nonostante, dopo un primo fremito di corrispondenza ideale spesso si rimane vittima di un certo disagio. Chiediamoci dunque di cosa si tratta. Al netto di bias sessisti e retaggi lombrosiani – sarà l’espressione perennemente corrucciata, la voce rotta (dal pianto o da una semplice raucedine?) o gli occhi all’ingiù che paiono sempre sul punto di riversare un fiume di lacrime – qual è il fattore che mette in secondo piano la veracità dei suoi appelli?

L’ultima iniziativa, la lettera contro l’odio su Facebook indirizzata nientemeno che a Mark Zuckerberg, offre il destro per due considerazioni.

Nel caso particolare la presidente Boldrini, dando la colpa al social network – reo a suo dire di omesso controllo – opera un meccanismo di traslazione della colpa dagli individui che commettono comportamenti scorretti al mezzo che li veicola. Secondo questo ragionamento il male è rappresentato non tanto dagli utenti, quanto da Facebook, e la soluzione individuata equivale di fatto ad una censura del mezzo. Sarebbe un po’ come dire: limitiamo la vendita dei coltelli da cucina poiché, oltre che per tagliare gli alimenti, possono essere usati per violenze e omicidi. Questo processo di astrazione però bypassa la complessità delle circostanze e sminuisce il peso della libertà individuale. Ovviamente non è mia intenzione giustificare questi orribili comportamenti, ma semplicemente constatare che – a prescindere dai mezzi utilizzati –  la violenza, il bullismo e ogni altra forma di prevaricazione sugli altri ha sempre trovato e sempre troverà il modo di propagarsi.

L’errore di considerare il male come qualità ontologica delle “cose” e non come possibile attributo della libertà dell’uomo mi porta alla seconda considerazione. La diretta conseguenza dell’individuare i comportamenti scorretti è punirli, e questo è logico e giusto. Ma se nonostante tutto la libertà degli uomini continua a deviare verso sponde maligne, l’unico comportamento applicabile sarà quello di estendere a dismisura i divieti. Posto che tecnicamente la sorveglianza e la conseguente rimozione dei contenuti è cosa realmente difficilissima – la presidente è a conoscenza, a mero titolo esemplificativo, dell’esistenza di canali Telegram (migliaia? decine di migliaia?) che veicolano leak sessuali, pornografia, pedofilia e orrori di ogni genere, accessibili da utenti anche minorenni e sui quali di fatto non vige alcun controllo – è corretto porre la responsabilità di tale controllo esclusivamente in capo al veicolo che li ospita? Non sarebbe più logico invece interrogarsi e scandalizzarsi della deriva verso cui veleggia l’umanità, sempre più assuefatta alle immagini di morte e violenza da riuscire a guardarle e perfino condividerle con sadico distacco? E magari promuovere con forza un’etica della rete non basata sulla repressione quanto su una nuova consapevolezza del rispetto della privacy e del pudore altrui.

Senza nulla togliere alle campagne portate avanti dalla presidente Boldrini, la vera battaglia di civiltà dovrebbe giocarsi sul milieu dell’educazione al bene e non auspicando serrate generalizzate.

Per le petizioni c’è sempre tempo.

 

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