Relazioni
“Sesso, droga e pastorizia”: difendere la libertà anche quando non ci piace
A volte per difendere la Libertà di Espressione bisogna innalzarsi, e andare fino a Parigi, nella redazione segreta di Charlie Hebdo, dove la vignettista Cocò disegna con il giubbotto anti-proiettile protetta da decine di agenti col mitra.
Altre volte bisogna abbassarsi, e tappandosi il naso infilare le mani nella cloaca dei social, quelle pagine i cui contenuti sono condivisi, di solito, dal compagno-pirla del liceo.
Ma è proprio questo il punto: se dovessimo difendere solo quello che ci piace, che Libertà di Espressione sarebbe? Lo sanno, eccome, gli Americani, che quando scrissero gli Emendamenti alla loro Costituzione, al primo punto – non al ventesimo o al sesto: al primo – misero proprio la tutela della Libertà di stampa e di Espressione.
Come si sa, durante il week-end Facebook ha chiuso “Sesso, Droga e Pastorizia”. Un nome – e un logo – che è già un’avvertenza, una pagina da 1,7 milioni di followers. A proposito di comicità, mezzo milione in più di chi alle ultime elezioni Europee ha votato Nuovo Centro-Destra. A festeggiare la notizia, la giornalista Selvaggia Lucarelli, al comando di una folla inferocita, offesa dai contenuti che “Sesso, Droga e Pastorizia” – comodamente abbreviata in SDP – è solita pubblicare.
Ne parliamo con Michele Lorefice, che di SDP è la voce ufficiale, il vocalist nelle affollate serate che la pagina svolge nelle discoteche in giro per l’Italia – divenuto suo malgrado il bersaglio delle ire della giornalista.
“Il motivo per cui lei se l’è presa con me in particolare non mi è chiaro. Di certo il problema tra SDP e la Lucarelli va avanti da tempo, da prima che io iniziassi a collaborare. La causa scatenante, per me, è stata il cosiddetto “video dell’8 marzo”.
L’8 marzo la Lucarelli ha postato sul suo wall un video in cui alcuni ragazzi di SDP, durante una cena, dicevano ogni sorta di bestialità maschilista. E così che avete festeggiato la Festa delle Donne?
“Per prima cosa bisogna dire che quel video è stato girato e pubblicato su un nostro gruppo privato mesi prima dell’8 marzo. La Lucarelli lo ha preso, tenuto da parte e messo in palinsesto proprio l’8 marzo – così da massimizzare l’indignazione. Questo fa capire, a mio avviso, quanto calcolo ci sia dietro le sue azioni, quanto siano finalizzate alla ricerca del consenso di uno specifico “settore di mercato”: se un contenuto ti indigna, ti indigna subito, non a scoppio ritardato. Comunque: il video è nato ad una cena prima di una nostra serata, presenti noi “pastori” e alcune ragazze che seguono, e apprezzano i contenuti che proponiamo. Questo per me è già un punto interessante: non si trattava di una riunione segreta fatta in un covo di una ipotetica Carboneria Misogena, ma di una cena a cui molte donne, liberamente, partecipavano”.
Il punto ha una certa importanza. Anni fa, ai tempi del “Se non ora quando”, l’elite intellettuale aveva preso di mira le Veline come simbolo dello sfruttamento maschilista messo in atto dalla società berlusconiana, dimenticandosi però che il diventare velina, il mettersi in mostra davanti una telecamera, è frutto di una libera scelta. Alcune donne prendono il velo, altre diventano veline: scelgono, liberamente, cose diverse. Scelgono male? Forse, ma pur sempre di scelta si tratta. Allora delle due, l’una: o si accetta che le donne (e le persone in generale) siano libere di scegliere di fare quello che vogliono – dalla lettura di Leopardi alle cazzate di “Sesso, Droga e Pastorizia” – oppure le si mette alla gogna per le loro scelte, insultandole perché ridono davanti a una battuta oscena sul sesso anale. Ma chi decide cosa sia giusto e cosa non sia giusto fare? E in virtu’ di che cosa, esattamente?
“Comunque” – continua Mike – “a un certo punto abbiamo fatto una specie di gara a chi diceva la volgarità più esplicita e sboccata sul tema della, perdonate la parola, “fica”. Era, ripeto, un contesto goliardico, dove si esagerava per il gusto di esagerare, come sa benissimo chi conosce il nostro stile e aderisce liberamente al gruppo privato “Pastorizia Never Dies”. Il problema, secondo me, è quando quel momento e quelle persone che vi hanno partecipato sono state completamente decontestualizzate, e mostrate dalla Lucarelli – proprio l’8 marzo! – a un pubblico che non conosce e non apprezza quei codici. E’ stato come prendere una parodia – volgare, goliardica, iperbolica – e spacciarla per rappresentazione del vero. Quello e’ stato, secondo me, un comportamento intellettualmente inaccettabile, che ha esposto tutti i presenti a quella cena, a cominciare dal sottoscritto, a un fuoco di insulti e minacce”.
Già, perchè nel Paese in cui per una vignetta arrivano alla redazione di Charlie Hebdo 34 mila incitazioni ai kamikaze da parte di italianissimi padri di famiglia, la situazione e’ talmente fuori controllo che un video goliardico – vomitevole quanto si vuole a livello verbale, ma in cui non vengono compiuti né atti di violenza né esposti simboli politici inneggianti a un triste passato – diventa la miccia, di nuovo, per minacciare pesantemente qualcuno. Questa, per esempio, è uno dei simpatici messaggi che in queste ore arrivano all’indirizzo di Michele come conseguenza del suo dissing con la Lucarelli.
Personalmente, mi vengono in mente i padri di famiglia, sorridenti in foto profilo abbracciati ai figli, che dopo il mio articolo su Charlie Hebdo mi scrissero che a mia madre – cui io spiegavo la vignetta – avrebbero spiegato e messo in pratica alcune pratiche sessuali non molto piacevoli: in confronto, i meme di “Sesso, Droga e Pastorizia” sono roba da educanda.
Anche la Lucarelli, però, subisce ogni giorno lo stesso trattamento. O no?
“Certo, ma il suo è un comportamento contraddittorio: lei dice di voler combattere il cyberbullismo, ma lo fa facendo cyberbullismo a sua volta, mettendo alla gogna pubblica persone di tutte le età, aizzandogli contro i suoi followers che li riempiono d’insulti e minacce come questa.
Ci tengo a dire due cose: la prima è che noi non abbiamo mai aizzato nessuno. Se puoi qualche utente, di sua iniziativa, assume comportamenti censurabili, in che modo noi ne siamo responsabili? Allora anche la Lucarelli è responsabile per le parole che il tizio di cui sopra mi ha rivolto.
La seconda è che se qualcuno si sente diffamato, si può rivolgere alla Legge. Altrimenti, se scende allo stesso livello e mette alla gogna le persone che insultano poi, per coerenza, non può mettersi su un piedi-stallo morale, perché e’ esattamente identico ai cyberbulli. Tra noi e lei, tra i nostri followers e i suoi, comunque, c’e’ anche un’altra differenza fondamentale”.
Quale?
“Che io non leggo le cose su internet in maniera letterale. Ho dovuto pubblicare questa minaccia solo per provare il mio punto. Io, e tutti quelli della mia generazione, sappiamo benissimo che su internet è una specie di wrestling: se ne dicono tante, ma restano parole. Volgari, bestiali: ma pur sempre parole. Io non mi metto a cercare il tizio che dice che dice che mi viene a prendere. Per me finisce li, non lo considero. Se poi dovesse accadere qualcosa, andrei dalla polizia. Dovresti vedere, invece, cosa sta facendo la Lucarelli al sottoscritto adesso…”.
Cioè?
“Se vai su Google e metti il mio nome viene fuori che lavoro in un hotel. La Lucarelli, senza verificare (come il mestiere del giornalista imporrebbe) ha invitato i suoi followers a scrivere all’hotel in questione per lamentarsi. Peccato che io li non lavoro e non ho mai lavorato, non capisco come mai su Google ci sia scritto cosi’. Fatto sta che i poveretti di questo hotel hanno passato giorni a rispondere a orde di gente che si lamentava con toni aggressivi. Che cos’é questo, se non cyberbullismo? (e anche molto tempo da perdere, aggiungiamo noi n.d.r.)“.
Sei accusato di diffondere materiale pedo-pornografico.
“Lei accusa tutti noi admin della pagina di permettere e promulgare la diffusione di file pedopornografici all’interno dei nostri gruppi, ma è falso. Può capitare che qualche utente all’interno del nostro gruppo o sotto i commenti della pagina faccia roba di quel tipo, ma noi appena ce ne accorgiamo rimuoviamo sempre tutto. Come facciamo a controllare un milione e settecentomila utenti? Da quando i gestori di una pagina sono responsabili dei commenti degli utenti? Qualche anno fa a Capodanno sulla RAI e’ andata in onda per errore una bestemmia: quindi la RAI e’ un covo di bestemmiatori e per questo deve chiudere?
Io ora ho gente che mi vuole menare perché, in virtù di quello che lei ha scritto, è convinta che io sia pedofilo. Assurdo”.
Secondo Michele, alla base di tutto c’è – anche – una differenza generazionale.
“Chi viene da una generazione precedente alla mia invece” – continua Michele – “questo meccanismo non lo capisce. Io non penso di fare nessuna di quelle cose “estreme” che diciamo nei meme o nei video. È una specie di catarsi, fatta con un linguaggio “basso” perche’ sia noi che il nostro pubblico restiamo “pastori” – magari laureati, ma pur sempre “pastori”. L’intero concetto di black-humor si basa su questo”.
Proprio il black humor è uno dei temi più’ difficili da affrontare in Italia perché completamente estraneo alla nostra tradizione. “Little Britain”, capolavoro della BBC di umorismo anche nero, materia di studio nelle Università Anglosassoni, in Italia diventa “I Soliti Idioti”, perdendo tutta la carica politicamente scorretta che ne rappresentava la ragione sociale. Comici americani come Jim Norton (apparso più volte negli show di Louis C.K.) o australiani come Jim Jefferies in Italia, se questo e’ il clima, verrebbero abbattuti.
“Il black humor è innanzitutto la capacità di sdrammatizzare, di rendere più accettabili certe situazioni sgradevoli, per poi essere in grado di superarle noi stessi quando saremo noi i diretti interessati. Il bravo umorista nero è colui che riesce a strapparti una risata e a farti sentire in colpa al medesimo tempo, perché sta facendo vibrare quell’intima corda che divide il tuo senso del giusto dal tuo senso dello sbagliato. Un esempio ci arriva proprio dall’attuale ragazzo della Lucarelli il quale, quando anni fa girava una frase copia incollata da tutti in cui si sosteneva, nel tempo libero, di sotterrarsi in giardino per emulare una carota, scriveva: “So che nessuno noterà questo status ma, a volte, quando mi annoio, vado in giardino, mi ricopro di terra, e fingo di essere Sarah Scazzi”. Di questo Selvaggia che dice?”.
Il black humor può non piacere, può offendere, può nauseare e noi non crediamo alla scienza che sostiene che chi capisce il black humor è più intelligente e meno aggressivo di chi non lo capisce. Ma vale la questione che vale per Charlie Hebdo e la sua satira: chi decide cosa può essere pubblicato e cosa no? Dov’e’ il confine?
Nell’Isis la questione l’hanno risolta: decide solo il Califfo. Noi ci dobbiamo chiedere: vogliamo continuare a essere liberi, ed esercitare il diritto di mandare affanculo Charlie Hebdo quando ci offende oppure di liquidare “Sesso, Droga e Pastorizia” come la prova-provata che Pasolini (come al solito) aveva ragione, e la cultura media è sempre corruttrice e questi sono i suoi effetti? Oppure vogliamo una nuova OVRA, una polizia politica nominata non si bene da chi a decidere cosa si può pubblicare e cosa no?
Vivendo in uno Stato di Diritto, se qualcuno – “Sesso, droga e pastorizia” o chiunque altro – pubblica o pubblicherà mai qualcosa in contrasto con le Leggi lo si denunci (tipo svastiche, pedopornografia, robe del genere), e si aspetti la risposta di un Tribunale. La censura preventiva, ottenuta al grido “al mio segnale, segnalate l’inferno” è una vittoria solo per chi la scatena – perché ci guadagna in visibilità – ma e’ una sconfitta per tutti gli altri, perché nega a chi apprezza quei contenuti di continuare ad usufruirne e a chi non piacciono di sapere cosa ne pensa la Giustizia.
La gente sceglie male, sprecando la propria libertà, scegliendo SDP o altre pagine simili invece che un libro di Arbasino? Al Gruppo 63 – insomma – preferisce il Gruppo 69? È la libertà, bellezza, che come diceva Tocqueville è il bene “più pericoloso” ma che secondo noi e’ comunque meglio dell’alternativa califfesca.
La questione, nell’era dei social network, è centrale e Michele ha un’idea molto chiara in proposito.
“Ci stiamo avviando verso un’Era che io chiamo tecno-medioevo. Mark Zuckerberg ci ha fatto credere di aver costruito un paradiso virtuale in cui tutti erano liberi di esprimersi, e all’inizio lo era: così Facebook è diventato un compagno delle nostre vite di cui non riusciamo a farne a meno. Poi però, giorno dopo giorno, il signor Zuckerberg ha introdotto sempre più restrizioni, aumentando sempre di più le censure, per avere un’utenza lobotomizzata che si fa infinocchiare dai contenuti sponsorizzati dalle aziende. L’anno scorso la cosa si è inasprita maggiormente quando le principali aziende che gestiscono i social network hanno firmato un accordo con l’Unione Europea per “combattere i messaggi di odio”. In buona sostanza, con la scusa di voler impedire all’ISIS di comunicare tramite i social, hanno tolto una grossa fetta di libertà di parola all’utente”.
Comunque la si pensi, mentre SDP riapre e ha già quasi mezzo milione di utenti (e allora che senso ha avuto chiuderla?) non si tratta di un dibattito solo italiano: allo scorso Sundance Film Festival molti, straordinari documentari erano dedicati proprio a contraddizioni e paradossi legati al Primo Emendamento nell’era dei social network e Donald Trump.
E come mostrato dal documentario “Nobody speak” sembra che un limite sia stato individuato: per aver contribuito a diffondere un video porno amatoriale con protagonista l’ex wrestler Hulk Hogan, il sito di gossip e contro-informazione Gawker, una macchina da milioni di click al giorno, è stato costretto a un maxi-risarcimento che ne ha determinato la chiusura. Dall’America, quindi, arriva un confine: non si può contribuire, in alcun modo, a diffondere video porno amatoriali senza il consenso delle persone coinvolte.
Proprio quanto fatto da Selvaggia Lucarelli con il celebre video porno di Belen. Buffo, non trovate?
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