Relazioni
Quando la parola “ordinario” significa essere pari
“Dentro la chiesa, saranno tutti azzurri i santi
che sfiorano coi teneri piedi i freddi banchi,
le mani e le facce rigide di santità.
Niente di ciò vede la luna, è vuota e desolata”
Spesso si crede che il parlare forbito, il tecnicismo, la metafora, decreta la nostra appartenenza ad un certo ceto sociale, e che l’appartenenza a quel ceto sia garanzia di rispetto, credibilità, di fiducia.
Il latino “fidere” ha dato origine alla parola “fides”, che in un paio di secoli si è presto tramutata nel concetto divino di “fede” ovvero la fiducia in qualcosa di più grande di noi.
Chi è un insegnante sa quanto è importante la comunicazione con uno studente, entrare in contatto con lui, col suo mondo per poter divenire depositario di credibilità, di fiducia appunto. La disciplina che insegna è un mero strumento per veicolare i cardini fondamentali dell’essere persona, tanto più lo studente è propenso verso il professore e la materia che insegna quanto più ai suoi occhi è meritevole di credito. Anche in questo caso la parola afferisce al campo semantico della fiducia, al credere. La fiducia non viene accreditata come fosse manna dal cielo.
Il detto fa riferimento al libro dell’Esodo e, più specificatamente, all’episodio in cui il popolo ebraico si rifugia nel deserto per sfuggire alla persecuzione del faraone egizio. A sostentarli in questo esilio sarà proprio una sostanza nutritiva che Dio metterà loro disposizione, dopo la promessa fatta a Mosè «Farò piovere del pane dal cielo per te», e che li terrà in vita per ben quarant’anni.
Certo la parola credito è usata anche con riferimento a ditte commerciali che riscuotono il favore del pubblico.
Per un insegnante il suo pubblico è la classe, un’aula che non è fatta di mura e cemento, ma di persone verso le quali l’insegnante presta un servizio che è fatto di ascolto, di dialogo, di parole condivise, di accettazione della diversità e conciliazione di modi di pensare. Presso gli antichi romani il detto nomen omen descriveva la convinzione che nel nome di ogni persona fosse indicato il suo destino.
Il mio è quello di essere portatore dei valori che mi sono stati insegnati: nella classe che frequentavo erano d’obbligo i grembiuli per coprire l’eventuale sfarzo di vestiti. Il marchio non descriveva la persona, si coltivava l’attributo, la qualità o caratteristica che si riconosce come propria ed essenziale.
Un bimbo piccolo dipende completamente dai genitore, non è autonomo, non può difendersi, per sopravvivere ha bisogno delle cure e dell’amore di chi si occupa di lui. Deve fidarsi e credere loro sulla parola. È il contatto con gli adulti, in base all’attenzione che riceve, che sviluppa sentimenti di benessere o di paura. Il rapporto genitore figlio è una sorta di prototipo di tutte le relazioni umane asimmetriche, di tutte le relazioni, cioè, in cui possiamo ritrovarci nel momento in cui diamo fiducia a qualcuno.
Nel mercante di Venezia, si fa credito in base ad un garante, persona degna di stima. La battaglia contro Shylock è quella di un gruppetto di ‘uguali’ contro un singolo ‘diverso’. Roba che sa di paese. Di vecchia Italia allegrona, sazia e ignorante.
Di Vitelloni, insomma.
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