Relazioni

Papa Francesco. La fragilità che cambia il mondo

La fragilità come forza, la parola come rifugio, la misericordia come atto politico.

21 Marzo 2025

Papa Francesco ha scritto al Corriere della Sera parlando di fragilità e parole. Ha detto che la fragilità è una rivelazione. Non una condanna. Ha detto che le parole non sono mai innocenti. Ha detto che la guerra si costruisce prima di tutto con il linguaggio. Verità che suonano quasi ingenue, oggi. Perché il mondo moderno ha perfezionato un’arte sopraffina. Negare l’evidenza.

La fragilità esiste, certo. Ma solo quando serve. Quando deve diventare emozione da palcoscenico. Quando deve produrre empatia a comando, suscitare consenso, creare appartenenza. Allora la fragilità è un valore. Altrimenti è un fastidio. Da nascondere. Da risolvere in fretta con un hashtag, con una frase fatta, con una dichiarazione d’intenti. Anche le parole hanno subito lo stesso destino. Non servono più a dare senso. Servono a riempire il silenzio. A colpire. A semplificare. A confondere. La politica non argomenta. Dichiara. La televisione non informa. Amplifica. I social non connettono. Polarizzano. Il linguaggio è diventato superficie. E il cinismo, come un veleno lento, si è fatto norma.
Eppure, è proprio così che si costruisce la guerra. Prima la parola perde peso. Poi diventa slogan. Poi diventa arma. Il genocidio in Ruanda non è iniziato con i machete. È iniziato con una radio. Una radio che ripeteva ossessivamente che gli altri erano scarafaggi. Che bisognava sradicarli. Oggi nessuno dice più “scarafaggi”. Ma il meccanismo è lo stesso. Si creano nemici. Si costruiscono nemici. Anche quando non c’è guerra da combattere, il linguaggio la inventa. La alimenta. La prepara.

In questo contesto, la parola di Papa Francesco è uno scandalo. Perché non si adegua. Non seduce. Non semplifica. Anzi. Complica. Inciampa. Apre. Ed è per questo che la sua voce è diventata così radicale. Perché la misericordia – la parola che più di ogni altra segna il suo pontificato – non è un gesto di benevolenza. È una frattura. Una crepa nel potere. Non corregge. Ma sovverte. Dove c’è una legge. Introduce l’eccezione. Dove c’è un ordine. Spalanca l’imprevisto. E questa è la sua colpa più grande. La misericordia non distribuisce meriti e condanne con logica millimetrica. Ribalta. Spiazza. Destabilizza. Fa paura. Troppo incerta per chi cerca sicurezza. Troppo indifesa per chi vive di confini. Troppo libera per chi pretende che la verità sia scolpita nella pietra.
Essere il Papa della misericordia significa accettare la solitudine. Essere amato da chi non ha voce e detestato da chi della parola ha fatto una barriera. Perché la parola, quando si apre davvero, smette di essere confine. Diventa rischio. Relazione. Vertigine.

La misericordia è questo. Un gesto che rialza chi è caduto e al tempo stesso fa tremare chi si è costruito sul giudizio. Senza di essa, l’ordine si irrigidisce. Il potere si chiude. La legge si spegne.
Ma c’è di più. La misericordia è anche un atto politico. Sovverte i dogmi. Ma anche le istituzioni. Scuote la Chiesa. Ma anche il mondo. Per questo Papa Francesco è il Papa più discusso. Per questo è il Papa più solo. Perché nel cuore del potere ha scelto di stare dalla parte di chi potere non ne ha.
E forse è proprio questo il senso più alto della fragilità. Non come debolezza da esibire o da nascondere. Ma come scelta di campo. Un modo per disarmare il linguaggio. Per disarmare il mondo.

 

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