Relazioni
Legittima difesa
Durante la scorsa legislatura è stata approvata una legge sul testamento biologico: un risultato lungamente atteso e per il quale avevano lottato associazioni e singoli cittadini, volto a garantire ai malati terminali la possibilità di concludere l’esistenza secondo i propri desideri.
A differenza di altri Paesi, l’Italia non ha però introdotto nella sua legislazione né l’eutanasia, né il suicidio assistito: rimane illegittima la scelta di chi aiuta a morire un malato che, pur non essendo prossimo alla propria fine naturale, ha deciso di porre termine a un’esistenza che gli risulta intollerabile. Proprio per questo motivo il leader radicale Marco Cappato è sotto processo a Milano e la Corte Costituzionale, investita del quesito sull’illegittimità del divieto di aiuto al suicidio (previsto dall’art. 580 del codice penale), ha rinviato di un anno la propria pronuncia invitando il Parlamento a occuparsi, finalmente, della questione.
In effetti, già nel 2013 era stata presentata una legge di iniziativa popolare sul tema dell’eutanasia: la raccolta firme organizzata dai Radicali aveva raggiunto il considerevole obiettivo di 65mila sottoscrizioni. Malgrado ciò, la proposta non è mai stata calendarizzata per la discussione in aula; peraltro, il tema non è previsto nel contratto di governo tra Lega e Cinque Stelle.
Proprio in questi giorni, però, il Senato sta discutendo il disegno di legge sulla difesa sempre legittima: con il voto favorevole della maggioranza, di Forza Italia e persino del Pd è appena stato approvato l’articolo n.2, secondo il quale chi spara a un intruso entro una sua proprietà non è punibile, anche se ne avesse causato la morte, qualora abbia agito in condizioni di grave turbamento.
E’ abbastanza sorprendente che il Parlamento fatichi a affrontare il tema dell’autodeterminazione del malato, ma che approvi con disinvoltura la licenza di uccidere entro le mura domestiche: sembra che il principio di indisponibilità della vita valga, paradossalmente, solo riguardo alla propria…
Si può obiettare che la legittima difesa è già contemplata nel nostro ordinamento e che la nuova legge si limita ad ampliarne l’applicabilità: il principio per cui è giusto uccidere per difendere una persona seriamente minacciata di morte è naturale e indiscutibile, mentre far morire un malato, per quanto sofferente, significa sopprimere una vita senza salvarne un’altra ed è per questo difficile da accettare.
Tra le due situazioni vi è però un’affinità molto più grande di quanto siamo abituati a pensare. Un malato come Dj Fabo, incapace di muoversi in modo autonomo, sottoposto a atroci sofferenze, con gravi difficoltà a comunicare e per il quale la scienza medica non può fare più nulla, è una persona che sta lottando contro la sua malattia e non può che soccomberle, proprio come una vittima indifesa davanti al suo aggressore armato; la differenza è che l’unico modo per uccidere la malattia è causare la morte del paziente.
Per chi considera la vita solo dal punto di vista biologico, la scelta dell’eutanasia è del tutto insensata: per costoro conta solo la sopravvivenza fisica del malato e interromperla significa portare a termine l’opera distruttrice della malattia. Ma per chi concepisce la vita come esperienza e relazione, le cose stanno in modo molto diverso: la condizione patologica sta uccidendo la libertà, la dignità, la possibilità di amare, di essere felice, di rendersi utile, di comunicare e per il malato queste perdite sono più intollerabili di quella della sua stessa sussistenza; evitargli di subirle diventa perciò l’unico modo di salvarlo.
Aiutare una persona a porre fine a una vita che non considera più tale può significare difenderla, nell’unico modo possibile, dalla sofferenza più estrema e dalla disperazione: una vera e propria legittima difesa da ciò che può diventare più terribile della morte. Se siamo così disposti a compatire il grave turbamento che può indurre un individuo a ucciderne un altro solo perché se ne sente minacciato, proviamo a immedesimarci in quello di persone rimaste prigioniere del proprio corpo sofferente: allora, forse, saremo meno pronti a condannare scelte che sono comunque difficilissime e capiremo qual è la vera essenza della vita che è giusto permettere a ciascuno di salvaguardare…
(fonte dell’immagine)
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