Relazioni
L’avvento dell’apatia e la fine della telepatia
L’uso smodato del cellulare, attraverso la sua vasta gamma altamente tecnologica di possibilità di comunicazione, ha finito per debilitare un fenomeno che tanti di noi hanno vissuto almeno una volta: l’effetto della telepatia. In pratica un pensiero, uno stato umorale o un sentimento trasmesso da una mente all’altra. La corrispondenza di pensiero tra due persone lontane tra loro, in maniera tale che l’una venga a conoscenza, senza l’utilizzo di strumenti, dei processi mentali dell’altra, sarà pure un fenomeno parapsicologico e, dunque, non molto frequente, ma è indubbio che esso sia stato ridimensionato dall’abitudine permanente di ricorrere all’irrinunciabile aggeggio, relegando il contatto tramite il solo pensiero ai confini della fantascienza. Pertanto, il fascino suggestivo della telepatia, non scientificamente dimostrabile e legato in qualche modo alla sfera dell’inesprimibile e finanche dell’occulto, è andato a farsi friggere. Negli anni venti Freud dimostrò un particolare interesse ai moti di trasmissione del pensiero, impegnandosi in uno studio approfondito dei fenomeni, rendendo partecipi altri scienziati di un tema che in quegli anni era pieno di risonanze. Ma, il timore che la psicoanalisi potesse prendere derive “misteriose”, legate al campo dell’occulto, lo spinse a non occuparsi più dell’argomento. Peccato.
Eppure, talvolta si ha come l’impressione che la nostra forza psichica crei un movimento (e qui sta il mistero) per certi versi paragonabile a quelli che viaggiano nell’etere, diventando percepibile per un cervello sensibilmente armonizzato con il nostro. La trasformazione di un’azione psichica in uno squillo telefonico? No, nient’affatto. Ma, lo squillo ha alienato l’attività mentale sul nascere, dando luogo a una conversazione diretta. Il che è certamente un vantaggio, ma spesso anche una inutile e del tutto superflua comodità: si è reso necessario, infatti, telefonare a una persona anche se risulta essere poco distante. Succede quando, per esempio, recandoci a un appuntamento non scorgiamo con immediatezza l’amica o l’amico che ci attende o dobbiamo attendere, salvo accorgersi, una volta afferrato il cellulare, che è a tre metri da noi. In questo caso la spia della telepatia, e direi anche dell’empatia, è totalmente fuori uso. Molta curiosità desta, invece, la relazione tra telepatia e produzione artistica, oggetto di studio di Elio Grazioli, critico e docente di storia dell’arte, che nel definire l’arte del XX e XXI secolo ha posto l’accento sul ruolo decisivo giocato dai meccanismi di comunicazione della mente. Chissà, forse una concezione leggermente dadaista della vita aiuterebbe a ristabilire un contatto telepatico con persone di cui non abbiamo il numero telefonico? Aprirsi a questa chance potrebbe spalancare delle porte sulla nostra capacità di intraprendere relazioni. E mi viene subito in mente Eduardo, che in scena diceva a una dolcissima Puppella Maggio: “La telepatia è quànno tu aràpe a porta e io nun tuzzuléo”.
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