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La rimozione dell’odio
In una lettera aperta a Mark Zuckerberg, la Presidentessa della Camera Laura Boldrini ha invitato il CEO di Facebook ad aprire un “ufficio operativo” della sua azienda in Italia affinché si occupi di eliminare i “gruppi (virtuali) politici estremisti e violenti”, quelli i cui utenti postano “foto di donne ignare, facendone il bersaglio delle loro violente sconcezze” e ogni altro tipo di “contenuti segnalati come discriminatori o razzisti”. Boldrini indica poi come bersagli dei richiesti interventi censori anche le cosiddette fake news, sulla base della convinzione che esse “provochino danni alle persone e spesso rappresentino l’anticamera dell’odio”, nonché le “oscenità che costantemente arrivano a (…) tutte coloro che hanno una presenza nella sfera pubblica”, rimproverando a Zuckerberg: “Facebook non si cura a sufficienza di rimuoverle. E lei sa bene che la mancata rimozione di un contenuto umiliante può provocare tragedie”.
Trovo la presa di posizione della Presidentessa Boldrini inutile, sbagliata e pericolosa.
Inutile, perché è praticamente impossibile sorvegliare e “bonificare” le spaventose quantità di informazione che vengono prodotte in ogni istante sui social media: nessun algoritmo è in grado di farlo in modo realmente efficiente, né è pensabile affidare il compito a operatori umani.
Sbagliata, perché la censura non è mai un’opzione auspicabile: chi deciderebbe i criteri in base ai quali operarla e chi garantirebbe che essa non venga utilizzata, ad esempio, per manipolare l’informazione?
Il dibattito degli esperti su questi due aspetti è molto ampio e meriterebbe una maggiore attenzione dell’opinione pubblica; ma il più preoccupante è la pericolosa illusione della “rimozione dell’odio”.
Boldrini si preoccupa giustamente del dilagare dell’odio nel discorso pubblico e per questo suggerisce che si debba agire presto e su più livelli affinché i social non diventino ostaggio dei violenti. La strada da lei proposta però somiglia molto al classico “nascondere lo sporco sotto al tappeto”: rimuovendo ogni contenuto violento, discriminatorio o volgare da Facebook si rischia di trasformare il mondo social in un lindo scenario da spot pubblicitario, tanto gradevole quanto falso; cosa ancor più grave, si rischia di eliminare la percezione – e dunque di perdere la consapevolezza – dei sentimenti negativi, dell’aggressività e della violenza che fanno comunque parte dell’esperienza umana.
Possiamo tentare di rimuovere le manifestazioni dell’odio, ma non staremmo rimuovendo l’odio; anzi, impedire alle persone di esprimerlo potrebbe addirittura esacerbarlo, cosicché finiremmo per perdere la misura di un fenomeno che si aggrava tanto più quanto sembra essere scomparso – un po’ come un medico che trascurasse una patologia dopo averne eliminato i sintomi con qualche farmaco…
Boldrini ha torto marcio, dunque? Certo che no: occorre sicuramente agire presto e su più livelli per ridurre l’aggressività nei social (che è particolarmente virulenta forse perché, in assenza del contatto diretto con la vittima, i “carnefici” sono molto meno inibiti); ma occorre farlo con un’azione educativa che accresca la consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni nel mondo “virtuale” e la capacità di gestirle emotivamente. È un obiettivo vastissimo, purtroppo ancora ignorato dai programmi scolastici e trascurato dai genitori; speriamo che la presa di posizione della Boldrini, per quanto erronea, serva almeno a suscitare l’attenzione verso un tema così impegnativo.
In sintesi, occorre “agire presto e su più livelli affinché i social non diventino ostaggio dei violenti”.
Il pressante invito della terza Alta Carica dello Stato è motivato con ragioni di responsabilità etica:
“Questo dev’essere (…) per tutti il tempo della responsabilità: tanto maggiore quanto più grande è il potere di cui si dispone. E il suo è notevole”.
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