Relazioni

La mente va dove puntano gli occhi. Fotogrammi di un cerchio aperto

13 Ottobre 2022

La mente va dove puntano gli occhi. Questo lo dico, mentre parlo al mio specchio.

Uno specchio, il mio, che non è appeso in camera, ma è nascosto nei fondali del mio cuore, e brilla sull’acqua del mare Adriatico in cui sono nata, in cui l’ho trovato, come un tesoro sommerso e dimenticato.

 

***

 

Passando di corsa, lo noto seduto nella sua auto.
Ha lo sportello aperto, un piede appoggiato per terra, fuori dall’abitacolo, gli riconosco immediatamente la caviglia nuda, nervosa, abbronzata dentro le sue lumberjack color sabbia sfoderate (uno dei miei tanti regali per coccolarlo). È agosto. Fa caldissimo, non indossa nient’altro che la sua aria disordinata, innocua, i suoi zigomi duri da uomo enigmatico e la barba sale e pepe.

Le spalle larghe e dritte.
Ha le lenti da sole ambrate e sta parlando placidamente al telefono.

In un lampo di passaggio a gambe levate, ho avvertito che sorride di gusto.
Mi è capitato tante volte di osservarlo, di ascoltarlo, anche di immaginarlo fare qualcosa.
Quindi vulnerabile, sincero, fragile, potente, con i suoi difetti e con i suoi pregi.
Occhi lunghi, sempre ammorbiditi da qualche languore, da un velo di malinconia con cui è nato. Ma con temporali di entusiasmo, determinazione, che avrei scoperto solo con il tempo come una goffaggine apparente e quasi ipnotica. Nell’esatto momento in cui sta per perdere il controllo di sé, è capacissimo di uno scatto che giustifica per intero tutti i suoi movimenti esteriori ed interiori. Ho capito che mi fa stare bene perché sa far sperimentare e sperimenta la tregua: non programma, non rimugina troppo a lungo e si fa bastare il presente.
Gli scatti che gli attraversano gli occhi sono così veloci che, quell’incontro, il primo intendo, non sembra essere accaduto davvero, tanto è l’intensità che regala, pur non permettendo a nessuno di afferrarla, non fino in fondo almeno.
Con ironia, accendiamo la grazia e il conflitto che ci fanno sentire vicini. Credo sia così che si cominci ad esistere davvero nella vita di qualcuno.
Con l’idea che il nostro cuore proietta di quella persona e con la mente che poi suggerisce se classificarla o meno. Se lasciarla indefinita e verissima in quel tepore invidiabile, che avvicina le donne e gli uomini come animali nella stessa tana.
Possiede la leggerezza nel farsi pensare, anche quando i suoi passi sono appesantiti da tormenti che lo rendono autentico.
Siamo dalla stessa parte, ma non ce lo diciamo spesso.
La notte ci ha sempre resi irriconoscibili.
Sappiamo che siamo due vite in attesa, ognuno di noi attende da sempre, altra vita, altro dolore, altro amore, altro Sole.
Ha l’odore del sale che si porta addosso dopo una apnea di perlustrazione di un fondale. Siamo bravissimi e abili nel riconoscere quando l’altro è in deficit di ossigeno, tanta è la curiosità ed il piacere di essere vicini.
Uno dice all’altra di scendere in profondità, ancora più giù e di muoversi liberamente, bracciata dopo bracciata, poi, riemergere in una vita che altro non è, se non un riflesso di una superficie lontana dalla terraferma.
Con lui riesco a pronunciare la parola vittoria, sconfitta, prova, conseguenza, limite. Errore.
Esperimento.
Nessun metodo, nessuna regola.
Fallimenti menzionati.
Entrambi conosciamo l’esperienza dell’amplesso veloce, forse tenero, feroce.
Ridere, raccontarsi, sospirare, tutto esorcizza la patina dell’abbandono subíto senza data, o di quello procurato.

Tutto rende meno odioso questo rincorrersi di regole che si danno gli umani.
Dopotutto, lo scetticismo di due che potrebbero starsi allegramente sulle palle e che, in certi giorni, lo fanno proprio ad arte, ci fa capire che non si tratta di magnetismo, ma di legame.
Uno scrigno di tesori, leggero come una mongolfiera, capace di sospendere tutto, come l’incredulità “sospesa” all’interno di un processo, in cui ognuno ha il diritto di essere ascoltato e forse anche creduto.
È quasi giusto ritrovarsi, pesanti, complicati, ma entusiasti ancora anche nel piangere dei guai.

Di lui osservo e ascolto spesso tutte le storie più divertenti o dolorose che attraversa, per interagire con gli essere umani. Un’esigenza insopprimibile, la sua.
Smanioso, capace di scansionare la propria ansia ma non quella altrui, per la sua voglia di trovare sempre una alternativa, un’altra vita.
Il nostro legame non ci stana, non ci approva, non ci giudica, non ci definisce. Giochiamo anche con le cose più indigeste, gravi, serie, senza gioco non esistiamo.
Ognuno a proprio modo e pieno dei propri perché, non siamo più troppo giovani per ritenerci impreparati di fronte ai fallimenti collezionati, né troppo vecchi da ritenerci perduti e con rimpianto soprattutto.

Abbiamo tentato il colpaccio, rovesciando la nostra esistenza, o quantomeno avremmo voluto farlo, magari santificando come tutti, un incontro amoroso del passato, mandando a carte quarantotto matrimoni, convivenze,  per ottenere poi cosa?
Una vita perfettamente simmetrica a quella da cui siamo fuggiti mille volte? No, grazie. Passo.
Per litigare sulle stoviglie da lavare o per non scoprire più niente di nuovo di noi stessi e di chi abbiamo accanto?
Alla fine, il terrore a cui si rischia tutti di cedere, è della solitudine dinanzi alla morte, che affianca le persone mature e rende loro plausibile la sopportazione reciproca, ma che poi si rivela nel momento supremo un investimento inutile, perché si è comunque soli.
Siamo una terra custode di storie antiche l’uno per l’altra.
Sappiamo fare il morto a galla o scomparire negli abissi.
La dose di similitudine non funge solo da veleno, ma anche da una sorta di pozione magica che non fa stancare mai di qualcosa che regola non è, e regole non ha.
Se finirà, e tutto può finire, deve accadere quando ogni cosa sarà davvero esplorata e vissuta. Gli addii più belli, sono quelli dove non ci si dice mai addio comunque.
Se questo legame, questo rapporto nato per gioco, fortunato, luminoso, casuale, vivrà a lungo, dovrà essere lo strumento di una crescita reciproca e non il premio per un sacrificio.
Questa è la nostra unica regola di felicità.
Parlarci come due agenti segreti in partenza per una missione rischiosa, superstiti a sé stessi, e necessariamente intrappolati in altre vite, quelle che avevamo prima, pieni di propositi insondabili, è il centro di tutti i grandi sentimenti inesprimibili.
La posizione che intendiamo occupare uno agli occhi dell’altro non è stata ancora definita.
Non vogliamo.
Siamo equivoci, senza il minimo timore del ridicolo, le nostre prescrizioni hanno un contenuto ideale, morale, roccioso a cui sottomettere tutte le azioni della nostra vita, lasciando campo libero a tutte le interpretazioni e all’ analogia.
Su alcuni punti discutiamo fino quasi a venire alle mani, su certi altri ci troviamo in un accordo repentino che ci sorprende e, a volte, riesce persino a spaventare.

Sintesi di due posizioni nel mondo molto controverse.

Lui dal ritmo frivolo, militaresco, scrittore, medico ed analista della mia anima che lo incuriosisce, forse perché non tento in tutti i modi di fargliela studiare.

Lui mi è amico in quel territorio vasto e naturale che ci appartiene a prescindere da noi due insieme.

É capace di fare sentire una donna bella e aperta, esposta solo ai suoi occhi e protetta dall’occhio crudele che è il giudizio.
Disprezza il rancore, non è capace di provarlo.
Questo lo considero il suo più grande pregio.
Mi fa sentire in pace con le mie grandi contraddizioni, forse perché, anche lui, ne ha molteplici. Non siamo capaci di parlarci con stratagemmi, rivendicazioni, ma con euforia o distacco.
Siamo tutti e due colpevoli e innocenti.

A modo nostro.

Un rapporto originale.
Arriviamo a passarci anche il dolore, quello che non sappiamo nominare da soli.
Troppo ingenui, troppo superbi, allora stiamo zitti e anche quello per noi è presenza.

Caro Specchio, in tanti pretendono sincerità e poi non sono minimamente pronti o disposti ad accogliere la complessità di chi hanno accanto. Accettano di buon grado le meschinità, che sono i difetti trasparenti ed eclatanti, compatibili con la vita di coppia o di relazione in generale, ma non sopportano i desideri strambi, le nostalgie, i capricci e le fobie che ci scavano dentro.
Giudicano aspramente solo per sentirsi persone per bene.
Le mia come la tua vita da adulto, è stata un intreccio di gioie e fatiche, sogni, rimorsi, abbiamo amato, colpito e patito.
Ma dalla tua, dalla nostra, metto un briciolo in più di consapevolezza e forse qualche istante in più di piacere ricercato nella follia.

Non esiste niente di intero, niente di completo.
Abbiamo provato altre strade e ci siamo presi le gioie e i dolori dell’ ignoto, anche atroci, eppure l’inquietudine non si è placata, anche quando bisogna cambiare tutto e rinascere.
Continuerò ad osservarti mentre sei distratto e, a sfuggirti, quando ti concentri su di me e mi osservi a tua volta.
Questo è  il bello della timidezza che ci lega.
Condividere l’utile e l’inutile, è la gioia di non sentirsi gli unici pazzi al mondo.
Siamo due imperdonabili “fallitori” di tempi e modi, ma sappiamo osservarci e avere comprensione della solitudine reciproca, pur non potendola sanare.
Sei colto ed elegante, fedele a te stesso, a quello che ho conosciuto io, e stanato io, perché ti sei lasciato stanare, contraddittorio e spiazzante, complice anche senza bisogno di sfiorarmi, perché mi sei amico e sempre lo sarai.
Conosco e sento il nodo a cui sei giunto sfogliando tutta la margherita, e il dolore e gli incroci e le trappole da cui ti sei dovuto salvare. Sento tutto, così come sento di quanto sale sei fatto.
Quello scende dagli occhi e arriva direttamente al cuore.
Sei sempre in grado di sorridere placidamente mentre parli, con la tua aria disordinata, inciamposa e abbronzata.
Quel sale che conosco, che sento appartenerti, lo custodisco, ascoltando le tue oscillazioni in cerca di liberazione ed equilibrio, sapendo che è la tua ricerca di essere accolto in tutto il tuo bisogno, ma è anche capacità di amare. Siamo sempre dalla stessa parte.

 

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