Relazioni
In ogni fine un inizio
E tuttavia è altrettanto certo che nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo. Dove la terra è stata spianata, vedo spuntare un filo d’erba testardo, e poi un fiore che si impunta a fiorire, ostinato, e poi un prato dal verde irremovibile. Vedo mucchi di macerie, eppure sulle macerie torna ad apparire un germoglio di vita, ostinata e invincibile. Vedo che la bellezza rinasce ogni giorno nel mondo (Ermes Ronchi)
“Quando ci siamo noi, non c’è la morte”. E viceversa. Sono le celebri parole di Epicuro nell’Epistola a Meneceo. E’ proprio e solo così?
Certo se la morte è davvero solo un evento biologico, Epicuro ha ragione.
Ma possiamo restringere la morte solo a qualcosa di così materiale?
C’è una morte esistenziale che ci abita in ogni passaggio della nostra vita, quando qualcosa finisce o viene perduto per sempre.
Di fronte alla morte esistenziale cerchiamo tutti una risposta alle domande di una poesia di Mahomud Darwish:
Le mie braccia cresceranno lungo un albero di sicomoro
il mio cuore getterà la sua acqua di terra su uno dei pianeti.
Cosa potrei essere da morto dopo la mia morte?
Cosa potrei essere da morto prima della mia morte?
Sono domande che traducono desideri profondi e forse neppure in grado di trovare risposte.
La morte biologica è davvero la fine di tutto? Si può essere morti anche pur essendo ancora biologicamente vivi?
Dolore, paura, rabbia, delusione, smarrimento, stanchezza, odio. Sono una fine inevitabile, una meta che ci consegna al disincanto, alla disperazione, al cinismo? All’impossibilità di attivare uno sguardo su ciò che spunta di nuovo, di bello, di vivo in ogni dove?
In questi giorni in cui è pasqua passano davanti a noi i suoi potenti simboli e racconti religiosi che esemplificano passaggi tra la vita e la morte, la domanda sui confini tra queste esperienze umane ritorna per chiunque. Uomo religioso, ateo o agnostico.
Cosa inizia e cosa finisce?
La prima pasqua della storia umana è stata la festa della fine dell’inverno e la gioia della primavera: la fine del freddo e il sonno di pangea cui segue il riprendere della vita, per uomini e donne il cui calendario esistenziale coincideva con quello della natura in cui erano immersi. Su questa pasqua della natura si sono innestati i racconti della pasqua ebraica e di quella cristiana, immaginifiche parabole di liberazione dalla schiavitù e dalla morte.
La pasqua che oggi viviamo noi nell’era della tecnologia e del rischio dell’estinzione della vita sul pianeta, è un’altra.
E’ la pasqua dell’apocalisse dell’era dell’antropocene.
Con il ritorno dei simboli della pasqua e dei suoi racconti auguriamoci gli uni e le altre che ci sia una rigenerazione di interrogativi che non trovano risposta se non in un incessante riproporsi. Sono le domande che muovono ad una ricerca che configura noi tutti e tutte come cercatori dell’infinito.
L’amore per la terra ci riconsegni tutti uniti come fratelli e sorelle nell’umanità al suo finire e al suo ricominciare.
I racconti religiosi ci muovano alla loro profonda verità: in ogni mare c’è una via per l’asciutto, ogni deserto è passaggio, ogni morte è un transito, ogni sepolcro un guscio destinato a spalancarsi.
Ogni fine un inizio.
Un simbolo universale della Pasqua è l’uovo. Per gli ebrei l’uovo è il primo cibo che si offre a coloro che sono in lutto per la perdita di una persona cara, perché l’uovo è simbolo della vita che sta per nascere, in opposizione alla morte, e ricorda che la vita è un ciclo che, come l’uovo (per la sua forma), non ha inizio né fine.
Sta qui il racconto della resurrezione dell’uomo di Nazareth. In un attraversamento della morte che ne rompe definitivamente il potere di ricatto, che spazza la paura generata dall’incombere di una perdita irrimediabile che non è più tale. Perché ora c’è un varco aperto su una vita in un mondo che non conosce più il lutto e le lacrime della fine irreparabile.
L’emblema dell’uomo pasquale è il teologo e pastore luterano Dietrich Bonhoeffer. Prima di avviarsi con calma e tranquillità nell’aprile del 1945, al patibolo nel lager di Flossenbürg, le sue ultime parole furono: “Questa non è la fine. È solo l’inizio di una nuova vita”.
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