Relazioni

Imparare a dirsi addio: cosa rimane alla fine di un legame

30 Aprile 2016

Malattia, pazzia e morte sono stati gli angeli che hanno vegliato sulla mia culla
e che fin d’allora, mi hanno accompagnato.
E. Munch

Lungo la nostra vita siamo chiamati a vivere tanti distacchi, alcuni voluti, altri casuali, altri ancora subiti. Nasciamo proprio grazie al distacco più importante e forse anche più traumatico: il distacco dal grembo della nostra mamma. Chissà, forse questo distacco resta così impresso nella nostra memoria che ogni volta che la vita ci chiama a separarci da qualcuno o da qualcosa sentiamo di nuovo il dolore di quel primo istante.

E così continuiamo a separarci, salutiamo la nostra infanzia, cominciamo a staccarci pian piano dalla nostra famiglia. A volte il tempo ci chiede di separarci dalle persone care e a volte ci separiamo dalla persona con cui abbiamo condiviso una vita. Fino a quando giungeremo poi all’ultimo distacco, in cui ci verrà chiesto di salutare questo mondo.

 

Non è facile dirsi addio e forse proprio per questo, nel Vangelo di Giovanni, Gesù fa un lungo discorso per preparare i suoi discepoli a questo momento di distacco. Per quanto sia comunque sempre doloroso, il modo in cui viviamo il distacco dipende dal modo in cui abbiamo vissuto quella relazione. Con atteggiamento materno, Gesù chiede ai suoi discepoli di sapere attendere e di vivere con pazienza il tempo della sua assenza.

Questa assenza di Gesù, il suo silenzio e la sua sconfitta, diventano emblematici di tutti quei momenti della nostra vita in cui facciamo fatica a trovare Dio, tutti i momenti in cui Dio ci sembra distante, in silenzio, introvabile.

La vita ci chiede a volte di attraversare momenti di dolore o di sofferenza, momenti di aridità e desolazione, in cui Dio ci sembra assente. Forse proprio per questo motivo, nel Vangelo di Giovanni Gesù pronuncia un lungo discorso per salutare i suoi amici e prepararli a questo tempo di separazione. Nel cuore di chi si sente abbandonato, rimane un vuoto profondo. Così anche noi discepoli, quando Dio sembra lontano, ci portiamo nel cuore un vuoto che sembra incolmabile.

Gesù chiede ai suoi discepoli di non perdere la memoria della relazione, ma di lasciarsi aiutare a ricordare: un altro sarà chiamato per difendere i discepoli nella lotta della vita che tenterà di cancellare il ricordo di quella relazione. Il Paraclito è l’avvocato chiamato a difendere nel processo, colui che si mette in mezzo e prende le parti di un altro nella lotta contro l’Avversario. Sì, una delle tentazione più grandi è dimenticare. Forse per questo Israele continua a ripetere e a ripetersi: Ascolta, Israele, non perdere la memoria del cammino che hai fatto insieme al tuo Dio.

 

Perdere la memoria di una relazione è l’attentato più frequente compiuto contro il nostro cuore: siamo così concentrati sul dolore presente, sulla delusione del momento, sulla sbavatura all’idea di perfezione che avevamo della nostra relazione, che facilmente cancelliamo il ricordo della bellezza di una storia che ci ha accompagnati e ci ha fatto camminare insieme.

Insegnare e ricordare nelle parole di Gesù diventano sinonimi: colui che viene in nostro aiuto, lo Spirito di Dio, ci aiuta a dare un senso a quello che abbiamo vissuto. Nel tempo faticoso dell’assenza di Gesù, bisognerà fermarsi e sforzarsi di ricordare quello che Gesù ci ha insegnato.

 

Chi vive l’esperienza di sentirsi abbandonato si porta dentro un vuoto profondo. Gesù ne è consapevole e non banalizza questo sentimento. Il mondo promette cose che non può mantenere: la pace, nel linguaggio biblico, è la promessa di una pienezza di vita che il mondo non può assicurare. Il dono della pace è la possibilità di sperare nella certezza di non essere delusi. Solo chi si è sentito amato veramente può essere certo del ritorno della persona amata anche nel tempo della separazione. Chi ha fatto l’esperienza di sentirsi amato non si porta nel cuore il turbamento, ma la pienezza. Nell’amore vero non c’è posto per la paura.

 

In tutto il suo discorso, Gesù non è mai da solo, non si presenta mai come unico, ma è sempre in relazione con il Padre. Nelle sue parole, Gesù non si mette mai al centro dell’attenzione: al centro c’è la vita degli altri, la vita delle persone amate, o l’amore che lo unisce al Padre. L’amore di Gesù non è mai ripiegamento, ma sempre donazione a qualcuno. Gesù non si percepisce mai come assoluto (cioè sciolto da legami), ma sempre in relazione con altri. A volte invece il nostro cuore è triste perché è abitato solo dal nostro io.

In copertina, Edvar Munch, Ceneri (1894)

 

Testo

Gv 14, 23-29

Leggersi dentro

  • Come vivo i momenti di separazione, distacco, abbandono?
  • Riesco a fare memoria della mia relazione con Gesù?
Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.