Relazioni

I giovani del servizio civile in Italia hanno 50 anni di vita

14 Dicembre 2022

Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto (don Lorenzo Milani, Lettera ai giudici)

Sono trascorsi cinquant’anni dall’entrata in vigore della Legge 15 dicembre 1972, n. 772, Norme per il riconoscimento della obiezione di coscienza. Oltre ad aprire uno spazio per l’obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio, la legge introduceva per gli obiettori l’obbligo di «prestare servizio militare non armato, o servizio sostitutivo civile» (art. 5), introducendo così anche il nuovo istituto del servizio civile.

L’idea che si potesse servire il paese con un servizio non armato ha preso piede in Italia con gran fatica.

Il primo obiettore in Italia di cui esiste una documentazione fu Remigio Cuminetti, un Testimone di Geova che rifiutò l’arruolamento nel 1915, alla vigilia della prima guerra mondiale. In piena Grande Guerra, finirono sotto processo per diserzione a causa del loro rifiuto di indossare l’uniforme anche Luigi Luè e Giovanni Gagliardi. Nel 1940, ancora vigente il regime fascista, 26 Testimoni di Geova furono processati e condannati perché rifiutarono l’obbligo militare.

Nel secondo dopoguerra, ci furono i casi di Rodrigo Castello, cristiano pentecostale e di Enrico Ceroni, altro Testimone di Geova entrambi condannati alla  reclusione e poi amnistiati. Il primo processo penale di notevole risonanza fu quello a Pietro Pinna, svoltosi nel 1949. Pietro Pinna, che si appellava semplicemente ai principi della non violenza, fu condannato a 10 mesi di reclusione con il beneficio della condizionale da parte del Tribunale militare di Torino.

Il caso che fece più scalpore fu però certamente quello di Giuseppe Gozzini.

Il 13 novembre del 1962, chiamato alle armi, si reca al Car di Pistoia e rifiuta di indossare la divisa militare in coerenza con la sua fede. E’ il primo obiettore di coscienza cattolico, scelta che a quei tempi equivaleva a reato militare. Gozzini viene rinchiuso, nel carcere Militare Giudiziario di Firenze e il 18 novembre trasferito nel reparto psichiatrico dell’ospedale militare della città, dove cercano di fargli firmare un foglio con cui si certifica la sua infermità mentale. A seguito del suo rifiuto, il 24 novembre è internato nuovamente nel carcere.

La prima udienza del processo si tiene il 20 dicembre 1962 ed ha una risonanza enorme. Suscita nell’Italia degli anni Sessanta un notevole scalpore e crea un caso mediatico di notevoli proporzioni. Escono centinaia di articoli su molti quotidiani e periodici italiani e anche stranieri (perfino il Times ne parla). Si organizzano dibattiti, manifestazioni, veglie di preghiera e digiuni.

Mai in Italia si era visto un giovane cattolico, settentrionale, istruito, di buona famiglia, disobbedire in modo così palese e intransigente a un’istituzione dello Stato.

La seconda udienza si svolge l’11 gennaio 1963, con l’aula piena di amici e simpatizzanti, molti giornalisti e fotografi. Nonostante l’estesa mobilitazione del mondo pacifista, Gozzini viene condannato a sei mesi di carcere senza la condizionale (in seguito sarà amnistiato).

La forte presa di posizione di alcuni personaggi noti del mondo cattolico dà particolare eco al processo. Si estende nel Paese l’adesione al movimento antimilitarista; il gesto di Giuseppe Gozzini segna uno spartiacque nella storia dell’obiezione di coscienza in Italia. Parte una grande campagna per il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza, alimentata, tra il 1962 e il 1972 da decine di altri casi di obiettori, cattolici e anarchici che, spinti dal caso Gozzini, rifiutano il servizio militare in nome del pacifismo, finendo a loro volta in prigione.

L’approvazione della legge nel 1972 porterà ad un processo di adeguamento progressivo del servizio civile obbligatorio, ma il salto più grande avverrà nel 2001, con il passaggio a quello volontario, con cui tra l’altro si ha l’apertura di questa esperienza anche alle donne. Ad oggi è un’esperienza che ha coinvolto dal 2001 oltre 600mila giovani in servizio.

Il servizio civile va oggi inteso come modalità di attuazione della difesa popolare nonviolenta, a cui si aggiunge la dimensione fondativa della gratuità, cioè di un tempo donato alla collettività e alla promozione del bene comune. A questa dimensione, che risulta ancora più evidente dopo la fine della leva obbligatoria, si lega anche la valenza del servizio civile come occasione di formazione alla cittadinanza e alla partecipazione. Per questo, possiamo definire  il servizio civile come «istituto che concorre a formare cittadini consapevoli, partecipativi, impegnati nello sviluppo sociale delle comunità (locali, nazionali, internazionali…) in cui operano, ispirandosi a principi fondativi della Costituzione: diritti inviolabili delle persone, solidarietà, progresso “materiale e spirituale” della società» [1].

Essere cittadini comporta una assunzione di responsabilità e di cura per ciò che abbiamo di comune: senza cura, qualunque relazione si deteriora, a danno di tutte le persone coinvolte. Il servizio civile si pone come opportunità di fare esperienza del prendersi cura, e di riflettere su quanto sperimentato, per trasformare la cura in uno stile di vita.

[1] Ambrosini M. – Cossetta A., Il nuovo servizio civile. La meglio gioventù in azione, il Mulino, Bologna, 2022

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