Relazioni
Forse è la volta buona. Scoprire il Natale quando meno te lo aspetti
La Provvidenza del Natale. «Ringraziate il cielo che v’ha condotti a questo stato, non per mezzo dell’allegrezze turbolente e passeggere, ma co’ travagli e tra le miserie, per disporvi ad un’allegrezza raccolta e tranquilla». Sono le parole che fra Cristoforo rivolge a Renzo e Lucia verso la fine de I Promessi Sposi, siamo infatti nel capitolo 36. Chissà se anche noi arriveremo presto a guardare con uno sguardo nuovo a tutto quello che stiamo vivendo. Inevitabilmente infatti la domanda sulla presenza di Dio in questo momento difficile della storia si leva da ogni altare, da ogni letto di ospedale, da ogni cuore che fatica a pregare e a credere con fiducia. È comprensibile, infatti, che negli ultimi mesi ci siamo forse sentiti orfani, abbandonati, dimenticati dalla provvidenza divina. Proprio per questo, credo che quest’anno abbiamo la possibilità di comprendere più profondamente il senso del Natale.
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Luce nelle tenebre. Al di là delle superflue discussioni sull’orario in cui può nascere Gesù bambino, come se qualcuno fosse in possesso dell’atto di nascita dell’anagrafe di Betlemme, può essere invece l’occasione provvidenziale per chiedersi quale sia il valore spirituale di una messa di Natale celebrata nella notte. Forse allora ascolteremo in modo diverso l’annuncio di una Parola che si fa carne per illuminare le tenebre dell’umanità. Quelle tenebre sono le nostre, ancor di più quelle che stiamo attraversando in questo momento. È lì che Dio vuole portare luce. Ma a cosa crediamo di più alle ombre che ci terrorizzano o alla speranza della lampada?
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Siamo fragili. Quest’anno potremmo forse guardare con uno sguardo nuovo al bambino del presepe. Questa volta infatti non ha i tratti di una devozione romantica, ma ha il volto potente della fragilità esposta. Dio ha scelto di farsi vedere così. La storia poteva cominciare da un altro momento, dal successo, dal ministero, dalla gloria, invece Dio sceglie di farsi vedere bambino. Un bambino è debole, inerme, vulnerabile, ha bisogno che qualcuno se ne prenda cura. Se Dio non si è vergognato di farsi vedere così, perché dovrei vergognarmi io della mia debolezza? E questo è un tempo in cui tutti ci siamo accorti di essere fragili, di essere esposti al male, ci siamo resi conto del peso della morte. Forse possiamo ripartire da lì, da questa più profonda consapevolezza della nostra vulnerabilità.
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Siamo figli. A Natale ci ritroveremo davanti al Figlio di Dio. E anche in questo caso forse capiremo meglio quella parola ‘figlio’. In un certo senso ‘grazie’ alla pandemia, ci siamo ricordati forse di avere dei genitori. Ci siamo ricordati di essere figli. Ci siamo accorti che i nostri genitori erano in una casa di riposo o che i nostri genitori erano lontani, che avevano bisogno di noi, ci siamo ricordati di quanto sia importante la carezza di una mamma o di un papà. Non sarà allora un Natale come gli altri se ci offrirà l’occasione, pur nel dolore, nelle privazioni e nelle sofferenze, di prendere nuovamente consapevolezza che siamo figli. E forse capiremo meglio cosa vuole dire, come ci ricorderà la liturgia, che ci è stato donato un figlio.
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