Relazioni
Cosa è la didattica inclusiva e quali sono i suoi principi
“Rabbia e risentimento. Emozioni che potrebbero diventare distruttive se non verrà preso sul serio il futuro. I ventenni sentono che gli è stato portato via qualcosa: la generazione del boom economico ha vissuto al di sopra dei propri mezzi in termini di risorse naturali), lasciando un debito difficile da pagare”
Che significa essere una figlia che segue l’esempio del padre, che vuol dire esempio, cosa vuol dire padre. Un padre è colui che ci ha accolto nelle sue braccia da bambino, che ha giocato con noi, ci ha aiutato a svolgere compiti, che, nei passaggi delicati della propria vita, ha cercato di indirizzarci usando parole che facevano leva sul nostro animo, conoscendoci, e che rispettavano quello che erano i valori interiorizzati durante il percorso della nostra esistenza. Valori che si respirano nella casa in cui ci si è formati e che costituiscono la radice della nostra essenza, la dimensione del nostro essere, il cardine su cui abbiamo costruito il nostro percorso di vita. Certamente ogni padre vuole il meglio per i propri figli, vuole che abbiano ciò che nella vita è mancato loro, ciò di cui hanno dovuto privarsi perché a volte la privazione è stata la loro condizione di vita. Volere il meglio è la massima espressione del volere il bene, ma il bene è qualcosa che non attiene alla possibilità di poter acquistare ogni cosa, di usare la forza del denaro per acquistare ciò che non è cedibile; esiste un bene che si riferisce ad una bellezza che è puramente spirituale e che ha a che fare con la profondità. La profondità che si può trovare non certo in una forma sinuosa a cui si cederebbe volentieri, coniugando l’utile di un progresso nella posizione sociale acquisita e il dilettevole di un corpo da poter maneggiare.
Alimentare qualcuno non significa rimpinzarlo di leccornie, non significa presentarlo per bene facendogli indossare un capo firmato, non prepararlo tutto agghindato, “impupazzandolo”,come se si stesse recando all’appuntamento cruciale della sua vita, quello che ne determinerà la svolta. Alimentare qualcuno significa fornirgli ciò di cui ha bisogno perché possa sentirsi bene nei suoi panni, offrirgli, cioè, quello di cui necessita per riuscire a vedersi, vedere se stesso, non una forma alterata, ingigantita, e per niente corrispondente alla propria immagine.
Nel periodo in cui si è ritornati a scuola, superato l’acme del periodo pandemico, si svolte lezioni ricorrendo alla did, un tipo di didattica mista, una parte dei ragazzi seguiva in classe mentre l’altro gruppo, per evitare assembramenti, seguiva da casa. Il gruppo che seguiva da casa presentava sempre maggiore difficoltà nel comprendere ciò che facilmente apprendeva chi si trovava in presenza. La didattica in presenza è una didattica inclusiva, perché per includere una didattica deve essere totalizzante nel senso che un obiettivo si raggiunge quando un alunno è coinvolto per intero nell’apprendimento che insieme si sta costruendo, è interessato perché quello di cui si discute non è estraneo alla sua persona, è non solo funzionale a quello che la sua persona sarà, ma lo riguarda personalmente. Includere significa ammettere il contenzioso, non pensare che tutti saranno facilmente persuasi da quanto si propone, accettare anche idee che sono contrarie a quanto si sta sostenendo, ma avanzare le proprie obiezioni con la forza pregnante di un dialogo che si fonda su argomentazioni ben esposte, che non possono e non devono prevedere l’offesa, il vilipendio, parole ostili e piene di rabbia. Diversamente, si renderà l’aula la curva di uno stadio da cui poter inveire con parole ingiuriose. Nella scuola non esiste il daspo, né il cartellino che l’arbitro esibisce per comportamenti scorretti, esiste l’autodisciplina, e quando un ragazzo eccede, la nota verbalizzata è accompagnata dalla convocazione del genitore col quale si cerca una strategia attraverso la quale fare comprendere e quindi, successivamente, interiorizzare l’importanza e la forza del dialogo nel rispetto delle parti in causa.
La scuola è inclusiva quando non fa differenza di estrazione sociale, le suore presso cui ho studiato pretendevano che in classe si usasse il grembiule perché chi era benestante e chi faceva sacrifici per poter pagare la retta scolastica, doveva acquisire la consapevolezza che in quell’ambiente veniva premiata l’abnegazione allo studio, non la firma apposta sui jeans. Compito della scuola è di riconoscere l’importanza della serietà il cui indicatore è solitamente il tempo impiegato nello studio, la dedizione che si profonde nello studio delle discipline, il saper rinunciare a trascorrere il tempo nello svolgere attività meno impegnative e più gravose, sacrificandosi.
Utilizzare il cibo come metafora per suggerire di essere meno ferrei, più accondiscendenti, ed accettare un premio per il dileggio subito, essere scaltri e navigare sott’acqua, significa non avere niente di umano, significa che il calore che anima, o ha animato, le notti di chi considera l’altro un mero strumento di piacere, un mezzo per assecondare le proprie voglie giustificherebbe la realizzazione di un illecito. È bestiale pensare che la furbizia possa passare inosservata sulla bacheca di un social, che certi muri invece di coprire le proprie pudenda le mettano in bella mostra perché certi materiali edili devono adeguarsi alla moda del tempo, contemplare la luce e la leggerezza. Certo giocare alle spalle di una persona, ricamandole addosso un ben architettato disegno significa non avere neppure il coraggio di esprimere un sentimento, un’emozione, un’intenzione, significa che le opinioni politiche espresse su un social sono come al solito appartenenti alla serie “vita da social”, perché scegliere di seguire una posizione significa considerare il retto non come sinonimo di fregatura, ma di un modo di concepire la vita in modo onesto. Rifiutare la connivenza significa fare politica. Perché politica significa abituarsi a raccontare la verità ponendosi dalla parte giusta, significa sacrificare il bieco affarismo di chi considera l’interesse personale più importante del bene della collettività, significa, proprio come fa l’archeologo, scavare per ricercare la verità, e realizzare una operazione di pulizia, tutelando un bene che ha valore culturale
Chi ha sempre trattato le donne come un contenitore presso cui rivolgersi per soddisfare i propri bassi istinti, vede nell’altro riflesso quel vuoto che ha cercato sempre di riempire con palliativi, con stratagemmi, con l’alternativa vantaggiosa, riproponendo noiosamente le stesse tecniche, non evolvendo mai, perché nello specchio distorto basta fare una torsione del busto per sembrare in regola.
La nostra presenza nel mondo non è quella di accompagnarci necessariamente a qualcuno, soprattutto a qualcuno che considera rapporto solo quello che si consuma in un letto, che diffonde informazioni private, che denigra gli altri perché considera la virilità la capacità di sminuire il prossimo, che considera la poesia non un modo di essere che afferisce alla delicatezza d’animo, ma una scrittura da porre al servizio di un editore. Il nostro stare al mondo non si consuma nel frastuono nell’ingiuria, ma nella libertà di essere noi stessi sempre, nella capacità di fare del lavoro su se stessi e sugli altri il compimento di un disegno di vita, nel credere che barattare valori come merci sia la stadio più basso a cui un individuo può giungere.
Lo stare al mondo si realizza nella credenza di un’insegnante che considera i suoi alunni quei figli che non ha, che, in un tempo in cui tutto si consuma e si getta come uno scarto, è doveroso aiutare a trovare un posto nel mondo più confortevole dove più che riciclare la plastica, l’artificialità, si impari a rispettare il posto in cui si vive, la società in cui si collocheranno come individui responsabili e capaci di fare scelte etiche.
In foto: C. Monet
Le Pont d’Argenteuil
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