Relazioni
Aubrey, il sogno dell’amore per l’eternità
“Forse non ci crederai, ma ho incontrato Jo Rita alla festa di fine anno di scuola del 1956. Quando, quella notte, lei mi diede il primo bacio che io abbia mai ricevuto da una ragazza, mi disse: se ne vuoi un altro, devi essere sicuro che sia per sempre. A quei tempi, a Tulsa, nell’Oklahoma, le promesse le prendevamo sul serio. Una settimana dopo andai a suonare alla porta di casa dei suoi e le dissi: per me va bene, se va bene per te”.
Da allora sono passati oltre 60 anni, ma David e Jo Rita Gates sono ancora insieme, hanno cresciuto tre avvocati ed un chirurgo, hanno uno stuolo di nipoti, e non hanno mai baciato nessun altro – e questo nonostante il fatto che David sia stato uno dei cantautori più famosi della sua generazione e sia stato esposto ad ogni genere di tentazione. Con le sue canzoni d’amore è diventato ricco e famoso, una delle sue canzoni è stata interpretata da Frank Sinatra, fino a pochi anni fa suonava a concerti pieni di gente in visibilio, come racconta lui stesso nel suo brano “The guitar man”, l’uomo che ti piace proprio perché non sai chi sia e che miagola quei tre minuti sufficienti a rapirti il cuore.
“Eravamo contenti. All’università suonavo con un complessino insieme a Leon Russell, nessuno sapeva chi fossimo, ma le case discografiche avevano iniziato a comprare i nostri spartiti e noi vivevamo una sorta di beata gioventù allegra e piena di soldi, e tutto è andato avanti come un sogno finché non ho incontrato Griffin, Botts e Royer ed abbiamo fondato i Bread. Jo era incinta, ed io ero in studio di registrazione alla Elektra, quando arrivò un tizio della produzione e ci fece firmare un documento: 120 concerti in 18 mesi per una cifra con la quale, allora, avremmo potuto comprare un ranch e vivere sereni in campagna”.
La band esisteva già, creata da Jimmy Griffin, che aveva preso Gates sotto contratto perché i Bread andavano male e Gates, invece, lavorava con Elvis Presley, i Beach Boys, Bobby Darin, Merle Haggard, Pat Boone, i Monkees e Captain Beefheart – tirava fuori hit nel rock, nel country, nel soul e persino nel folle blues-jazz del migliore amico di Frank Zappa. Griffin spiegò a Gates come avrebbero dovuto essere le canzoni dei Bread, e David si presentò in sala di registrazione con otto ballate soft-rock già pronte. “Griffin ha sempre odiato Dave, ne è sempre stato invidioso”, racconta Jo: “Lui ed io eravamo sempre allegri e senza ambizioni, e le canzoni di Dave diventavano subito famose, mentre Jimmy aveva un matrimonio con una bellona, Maria Yolanda Aguayo, che lo faceva impazzire e che, nel 1974, lo ha lasciato per un attore di Hollywood, spezzandogli il cuore”.
Poco prima Maria Yolanda aveva convinto Griffin a lasciare i Bread ed a intraprendere una carriera solista, giurandogli che i Bread sarebbero finiti – ed invece David aveva scritto dieci nuove canzoni, il posto di Jimmy venne preso dal famoso sessionman Larry Knechtel, ed il nuovo disco, che conteneva “Everything I own”, che più tardi diventerà famosa con Boy George, ha battuto tutti i record, mentre Griffin è finito nel dimenticatoio.
Quanto a David e Jo, sono ancora felici insieme, ed hanno guadagnato abbastanza per sostenere anche i nipoti. Con un solo neo: Aubrey. “Eravamo famosi, ero sposato e felice, eppure ero malinconico, finché mia madre non tirò fuori le foto di quando ero ragazzino e saltò fuori quella ragazzina di cui nemmeno so più il nome. Guardava il bosco ed era incantevole, e ricordo di averla guardata con un’attonita meraviglia, senza avere il coraggio di parlarle, per un tempo interminabile, ed intanto sognavo avventure, tramonti, sguardi, stormi di pensieri in volo verso l’imbrunire… ed ho scritto Aubrey”.
Per Jo, Aubrey è imbattibile, perché non esiste. È la personificazione dei sogni di un bambino, tenera e ingenua, perfetta ed eterna. Un dolore alla gola, un sorriso mai osato, due occhi puri e senza menzogna possibile. “Non ho mai avuto il coraggio di litigare per Aubrey, perché sapevo che David volava via tre minuti e poi tornava da me, ma è stata una lotta dura, specie nei momenti, che ci sono, in un matrimonio così lungo, nei quali la stanchezza pesa…”
Ho conosciuto la mia Aubrey nell’estate del 1975. Si chiama Francesca ed era ospite di due dei miei più cari amici, Bruno e Rossella. L’adoravo, annusavo il profumo che lasciava quando camminava… e non ho mai trovato il coraggio di parlarle, e del resto lei aveva 13 anni ed io 15. La sogno ancora oggi, e di lei non so nemmeno il cognome. So solo che siamo stati gli eterni innamorati di una fiaba mai avvenuta, e che “Aubrey” è stata scritta per lei. E per me.
Devi fare login per commentare
Accedi