Relazioni
Amico Michele, collega Fusco, ci mancherai
Quando se ne va un amico, trovare le parole è sempre complicato. Anche per chi con le parole ci campa, come noi.
Quando poi se ne va un compagno di viaggio speciale, un collega sensibile e insieme sfacciato, un giornalista originale e profondo come Michele Fusco, il nostro Michele, la tentazione di arrendersi al silenzio è grande.
Eppure, lo sappiamo, proprio Michele non vorrebbe questa resa, perché al dovere di dire quel che si sa, quel che si pensa, ci ha richiamato molte volte, anche e anzitutto con l’esempio professionale.
Ci mancherà tanto, allora, quel mal di pancia salutare che ci davano i suoi pezzi, un concentrato di libertà, coraggio delle proprie idee, forza nel dire i nomi e i cognomi di quel che non apprezzava e non stimava del tempo che viviamo. Ci mancherà il suo pungere e accarezzare le debolezze del mondo, della politica, dei potenti e degli aspiranti potenti. Chi non lo conosceva, forse non riusciva a capire che quelle debolezze, come sanno fare i forti, Michele le studiava prima vicino a sé, dentro di sé.
Intendeva il giornalismo per come va inteso: come un esercizio permanente di libertà, di sguardo lucido sul presente e il passato, di critica profonda che riconosce il valore dei fatti e delle dinamiche che li generano, un valore più grande delle relazioni di amicizia tra giornalisti. E peraltro, e proprio per questo, tra i giornalisti che punzecchiava e rimproverava amorevolmente, moltissimi gli erano amici e riconoscenti: perché mai si riusciva a derubricare la sua critica a sciocchezza, anzi. E poi aveva – insieme al resto, non dopo – una curiosità e una cultura per i colori della vita che lo manteneva ragazzino, anche ai suoi 66 anni, stroncati dal Covid: lo appassionava l’arte, lo intrigava la fotografia, lo estasiavano i sapori del cibo e del vino, lo emozionavano i romanzi e il cinema. Di tutto era schermito ma profondo conoscitore: esigente e generoso, com’era lui.
Il suo insegnamento di libertà, e della forza che solo la certezza di aver messo sotto torchio ogni certezza, non lo perderemo. Ci sforzeremo di non smettere, mai, di rischiare una sedia, un ruolo, uno stipendio, o anche solo un saluto, pur di non perdere il senso del lavoro che facciamo, e del perché lo facciamo. Ma lui, lui ci mancherà. Ci mancheranno i suoi messaggi alle 6,27 del mattino a giornali già letti. I suoi tweet sornioni. I suoi ricordi da grande cronista ai tempi del Giorno, da direttore di Metro, da battitore libero dal primo giorno con noi a Linkiesta, i suoi pezzi acuti e illuminanti, sempre, su Gli Stati Generali. E ci mancherà di aspettare la prossima serata a bighellonare per Roma, la prossima visita a un ristorante scelto con cura certosina, e tutte le cose che volevamo fare, insieme, e non abbiamo fatto, nate parlando del Milan che fu e della politica che sarà.
Se non lo avessimo incontrato, però, non le avremmo nemmeno mai pensate. E questo regalo, no, non ce lo toglierà nemmeno la sua morte.
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