Relazioni
A casa, nessuno
Ci sono giorni realmente diversi dagli altri. Qualcuno inizia subito in modo particolare, altri ti colpiscono quando ormai il sole è basso nel cielo e ti stai preparando alla serata. Ieri per lavoro sono andato a Genova. Una giornata calda, di un caldo un po’ appicicoso. Avevo in ballo misure per rivelare come si organizza nella cellula una proteina coinvolta nel tumore al polmone. Stavolta non è rilevante; forse un giorno -con un altro spirito- ne parlerò anche qui.
Per il viaggio avevo noleggiato una Panda rossa. Una macchinina spartana, confortevole. La radio lungo l’A12 sino a La Spezia si sente poco, tra una galleria e l’altra. Solo alcune stazioni maggiori, tutte che trasmettono la medesima musica irrilevante che si potrebbe sentire in un negozio di vestiti. Nel notiziario, l’unica notizia comprensibile riguardava i preparativi del matrimonio tra il Principe Harry e Meghan. Ho capito che non ci sarebbe stato il padre della sposa, chissà mai poi perché. Si pensa ad altro, senza fare grande filosofia, lungo l’A12, tra le gallerie, in una giornata calda. E si osservano quei bellissimi scorci di mare azzurro della costa ligure che appaiono all’improvviso. Le misure sono andate insolitamente bene, ieri. Basta poco per essere soddisfatti alla fine. Sembrava una buona giornata.
Riconsegnata la macchina, mi sono fatto una passeggiata; l’aeroporto di Pisa è relativamente vicino al centro. Dovevo riportare dei campioni all’Istituto dove lavoro, volevo arrivarci per le 18. Lungo la strada, il come non importa, ho saputo questo. Apparentemente un altro caso di bambino che muore in macchina, rimanendo chiuso per ore sotto il sole. L’unica differenza è che stavolta conosco il padre di questa bimba.
Non si realizzano subito tragedie come queste. Ci vuole un po’ di tempo, parlare con altre persone che sanno pezzi della storia, scambiarsi messaggi. Non ho fatto eccezione. Lentamente, come tutte le cose in questa giornata calda, ho messo insieme le tessere del mosaico. Il vuoto sale, progressivamente; non sono nemmeno andato a leggere il giornale on-line. Un amico mi ha mandato un messaggio che non se la sentiva di rispondere al telefono.
E’ umano che ci si chieda come possa accadere. Nell’intimo, sappiamo tutti che può succedere a chiunque. Il nostro cervello è meraviglioso, ma non è un computer. Non ha un parallelismo perfetto, non può gestire tutto insieme, sempre. Per sopravvivere, alcune cose divengono preponderanti; a volte il lavoro, spesso tutte le piccole ansie cui nessuno è risparmiato. E poi i bimbi, e lo so per esperienza, quando dormono possono essere gli esseri più silenziosi che si possa mai incontrare. Stanno buoni buoni nei loro seggioloni, quasi sempre di colore rosso, sui sedili posteriori. Tante volte, durante un viaggio, ho ringraziato mentalmente che i miei mi stessero vicino senza parlare, perché c’erano cose a cui dovevo pensare. Talvolta si sorride della differenza del comportamento che tengono a casa, dove non dormirebbero nemmeno col sonnifero. E’ il potere della macchina. Conosco una persona che faceva un giro in auto con la figlia dopo le 23 per addormentarla. Non so se sia andata proprio così, se stesse dormendo, non ho chiesto. Ma la trappola è in agguato, poco importa cosa sia successo.
Perdere un figlio è un’aberrazione, un atto che viola l’ordine della Natura. Noi mammiferi abbiamo sviluppato capacità di accudimento raffinatissime proprio perché la Natura stessa è severa con chi non riesce a crescere i figli. In quel caso la sentenza è l’estinzione dei geni inadeguati. Sembra strano dirlo, perchè poi arrivano gli essere umani, con la loro capacità di fare promesse al di là del mero ordine materiale. Un figlio è una promessa a tutti, all’intera comunità dei tuoi simili, una scommessa sul futuro. Un figlio è l’unica via all’eternità delle cose che contano. Una tragedia come questa genera uno spaventoso senso di colpa, anche se può succedere a tutti, indifferentemente. Non è come investire una persona perché si scrive sul telefonino. Quello è un atto deliberato, una forma sì di incoscienza, ma deliberata. La tragedia di ieri non è così, nulla è deliberato, ma un pensiero come questo non potrà mai essere d’aiuto. E’ un incubo da cui non ci si sveglia, perché di fronte ad un figlio vorresti essere molto più che umano, per proteggerlo e crescerlo; impossibile venire a patti con la propria fragilità, col fatto che il pensiero razionale non gestisce sempre e comunque il tuo cervello.
Non ci si deve arrendere a questa tragedia ed ad altre che senz’altro succederanno. Ci vuole una qualche legge che imponga un sensore, un aggeggio qualunque che faccia suonare le trombe del giudizio quando uno ferma il motore ed esce sovrappensiero dalla macchina. Un suono che si senta a 5 isolati di distanza, deve venire giù il mondo dal casino quando un bimbo rimane chiuso in macchina da solo, anche per 5 minuti. Non credo sia un problema tecnologico, semplicemente occorre agire a livello legislativo, e anche alla svelta. Ho sempre pensato che fosse ingeneroso prendersela con i politici inetti per qualunque cosa accada, nessuno si dovrebbe sentire immune dal menefreghismo. Noi cittadini che facciamo? è per me la la prima domanda che quasi sempre dovremmo porci. Esatto, quasi. Stavolta è l’ora che a Roma, sì proprio a Roma, si agisca. I politici pensino anche a cose come queste, oltre al contratto gialloverde, la flat tax, le divisioni correntizie dei democratici e la riabilitazione del capo di Forza Italia. Cerchiamo di essere una comunità di esseri umani: c’è un bug nel sistema di ognuno di noi, risolviamolo per sempre. Non c’è da vergognarsi dall’aiuto della tecnologia.
Nel caldo anche di oggi, la consapevolezza della tragedia, che ci ha colpito tutti, si è fatta più forte dentro di me. Chissà perché ho pensato a tutti questi bimbi, nessuno escluso, da grandi. Ragazzi che studiano, che mangiano con la fame da lupi degli adolescenti. Ragazzi che escono e non li trovi mai in casa. Mio babbo diceva che ero un po’ così; lo saremo stati tutti, peraltro. C’è una canzone bellissima dei Pink Floyd, in The Wall, intitolata Nobody Home. “A casa, nessuno”. L’ho risentita, oggi. Parla di una telefonata a casa e nessuno che risponde. Nell’epoca dei telefonini, fa sorridere. A un certo punto la canzone dice: “Ho un impulso fortissimo a volare, ma non c’è un luogo verso il quale possa farlo”.
Si, in una casa di più, da ieri, non c’è nessuno.
[un abbraccio ai genitori della piccola]
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