Cibo

Regioni d’Italia tra identità rurale, contemporaneità e sapori

16 Settembre 2024

Aspettando Terra Madre, il salone del cibo in programma a Torino dal 26 al 30 settembre, dove, tra la storia del cibo come nutrimento, convivialità e piacere si affrontano i temi “collaterali” dello spreco alimentare, il Mercato Centrale a Torino, il 14 e 15 settembre ha ospitato l’evento “Basilicata, Terra e Visione”, con due giorni di talk con la Regione Basilicata. L’evento ha raccontato e celebrato bellezza, cultura e tradizione della regione, partendo dall’identità rurale da ri-scoprire in chiave contemporanea, per favorire lo slancio turistico e culturale di alcuni tra i numerosi borghi rurali presenti nella provincia di Potenza e di Matera. Della storia e la rilettura dei borghi rurali degli anni Cinquanta in Basilicata, si annoverano: Serramarina a Metaponto e Bernalda, Borgo Taccone e S. Maria d’Irsi a Irsina, La Martella e Venusio a Matera, Pianelle a Montescaglioso, Piano del Conte ad Avigliano, San Cataldo e Sant’Antonio Casalini a Bella, Gaudiano a Lavello e Leonessa a Melfi. Terminata la Seconda Guerra Mondiale, la costruzione di borghi rurali in Italia è stata occasione di sperimentazione della modernità urbanistica ed architettonica, grazie ai finanziamenti del Piano Marshall (1947) e la conseguente Riforma agraria; il Governo italiano si impegnava alla redistribuzione ai coloni delle terre dei latifondi incolti o abbandonati, per una ricostruzione post-bellica, con la necessità di incrementare la produttività locale. L’assegnazione di case coloniche e dei terreni non sortirono gli esiti sperati perché l’isolamento dei poderi e la limitata o mancata costruzione di infrastrutture per l’irrigazione, determinarono ben presto l’abbandono dei fondi con la conseguente emigrazione, che lasciò le case coloniche e i borghi rurali dimenticati nell’oblio. I nuclei insediativi dovevano contemplare gli edifici necessari all’organizzazione civile e sociale della popolazione: la chiesa, la caserma dei carabinieri, l’ufficio postale, l’ambulatorio con abitazione del medico, la scuola elementare con i relativi alloggi per gli insegnanti, il teatro, il circolo sociale, la trattoria e i negozi per generi di prima necessità. Questo patrimonio, per alcuni borghi in via di spopolamento, è inserito in un contesto culturale ed economico in continua evoluzione, fondamentale è non solo la tutela e la conservazione dei luoghi ma anche la possibilità di uno sviluppo che rispetti la continuità tra passato e futuro. In questa ottica, è necessario che la politica incentivi la filiera della cultura e del turismo unitamente all’economia rurale e all’ospitalità. Il turismo potrebbe  coniugare la promozione delle narrazioni di questi luoghi della Riforma agraria, incrementando la conoscenza di queste ricchezze locali “dimenticate”. E a Torino non sono mancate masterclass con lezioni di cucina, per condividere competenze e saperi dei sapori lucani di eccellenza: la pasta della tradizione lucana, la salsiccia tagliata al coltello, la produzione casearia, il vino e l’olio. Ma seppur le lectio magistralis siano state presentate da professionisti di alto livello, trasmettendo tecniche e contenuti, la pasta fatta in casa, fiore all’occhiello della gastronomia italiana, segue un rituale religioso della tradizione lucana.  Spesso presente sulle tavole, la preparazione della pasta risulta un’arte tramandata dai tempi delle nonne. Tempo, passione, pazienza e un duro lavoro di braccia servono per ottenere la pasta con ogni tipologia di farina e la giusta consistenza per tenere la cottura ottimale. Le donne di una volta si svegliavano presto la mattina per preparare la pasta fatta in casa, indossando, per una sorta d’igiene, grembiule e fazzoletto bianco sul capo per raccogliere i capelli. Dopo aver fatto il segno della croce, iniziavano, con le mani a pugno, a impastare sulla spianatoia di legno, sfarinate passate al setaccio disposte a cratere, mescolate all’acqua e al sale, utilizzando utensili come il mattarello e il coltello.  Impastando con “olio di gomito” fino a creare un composto omogeneo, lavorato per creare pasta di diversi formati. La pasta di casa, sebbene sostituita quotidianamente per praticità dalla pasta commerciale, coniuga la tradizione culinaria regionale e l’innovazione di sempre nuove ricette e rimane il simbolo dei pranzi particolari, con la tavola imbandita di ricca semplicità e l’atmosfera di festa. L’evento culturale che la Regione Basilicata e i suoi GAL – Gruppi di Azione Locale – hanno portato a Torino e dedicato al racconto del territorio lucano e delle sue eccellenze, è stato uno scambio e una scoperta con la città piemontese, perché la diversità di un ingrediente o l’utilizzo di un attrezzo da cucina differente o la quantità diversa, caratterizza l’unicità delle ricette a tavola, e questa diversità, scoperta e scambiata, avvicina, attiva il dialogo e ci si scopre diversi ma tutti uguali, frase che più volte è stata ripetuta durante lo scambio del pranzo domenicale. E questi tempi ci richiedono grande apertura sociale ma anche grande consapevolezza del proprio essere, delle proprie tradizioni da poter condividere tra culture diverse. La cucina da sempre racchiude tutto questo percorso ed attraverso il cibo, che è un pezzo fondamentale del nostro vivere quotidiano, è molto più facile attivare il dialogo, conoscere la diversità e scambiare la conoscenza, realizzando la vicinanza e l’integrazione. Del resto è a tavola che si sono sempre realizzati accordi ed incontri storici, è con la tavola che si celebrano le cerimonie più importanti, e spesso i piatti sono il simbolo di questi eventi perché il cibo apre e conquista il cuore. Scoprire la Basilicata attraverso i suoi sapori più autentici significa apprezzare l’amore e la passione delle genti che custodiscono gelosamente le proprie tradizioni derivate da antichi riti e l’amore per le “radici” che non assumono il significato di una mentalità retrograda perché i Lucani sanno far tesoro di ogni stimolo culturale, partendo dallo spirito creativo che si manifesta nella varietà del patrimonio enogastronomico che trasforma gli ingredienti DOP e IGT di un mondo rurale in capolavori per la gioia del palato, dando origine a prodotti unici e inimitabili. L’Aglianico, il celebre vino del Vulture, soprannominato il “Barolo del Sud”, è il vitigno più importante ed esportato della Basilicata. Negli ultimi anni i vigneti della regione, hanno dimostrato di essere quasi due volte più redditizi rispetto agli oliveti, l’altro tipo di coltivazione che domina le regioni del sud Italia al punto che l’industria Monini, ha investito nell’acquisto di 250 ettari nel cuore del Parco del Pollino in Basilicata per le caratteristiche organolettiche dell’olio. Dulcis in fundo, nella storia del cibo come nutrimento, cultura, convivialità e piacere lodate a Torino, e riconosciute nel nostro Belpaese, la salsiccia pezzente e la produzione casearia divenute Presidio Slow Food. I salumi artigianali locali, sono gemme gastronomiche, unite alla polvere di peperone e alle note aromatiche del finocchietto selvatico, sono protagonisti della tavola, insieme ai formaggi freschi e stagionati, gustati con un buon vino rosso, trasformando ogni assaggio in un’occasione speciale. Questo tripudio di ingredienti, conduce sempre ad una Basilicata, rurale e contemporanea, incastonata fra mare e montagne, una terra storica già nota per i suoi sapori a Cicerone quando raccontava delle merci lucane che erano portate a Roma e apprezzate per il sapore robusto. Come ogni domenica che si rispetti, perché non proporre un piatto acclamato dal Gambero Rosso, proposto dall’amatissimo chef romano Max Mariola in zona Brera a Milano “Strascinati con salsiccia lucana, peperone crusco e cime di rapa”: rosolando bene gli ingredienti, piccanti al punto giusto, scolate la pasta al dente, versate in padella e fate saltare per un minuto, a fuoco vivace. Servite ben caldo e…buon appetito!

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