Società

Polizia in piazza, profughi, schedature di massa: la Francia, e noi

1 Novembre 2016

Sono tre i temi che, più di altri, riempiono in questi giorni le pagine dei giornali francesi: il fatto che i poliziotti siano (praticamente) ovunque in uno stato di forte agitazione; il fatto che sia stato approvato un nuovo accentramento – in un unico archivio – delle informazioni disponibili su circa 60.000.000 di francesi (come le impronte digitali, le reti parentali, le informazioni relative a lavoro e stipendio, naturalmente i precedenti penali, le tasse pagate ecc.), che saranno messe a disposizione di polizia, fisco, servizi segreti e altri apparati dello stato; il fatto che gran parte degli immigrati cacciati dalla cosiddetta “giungla” siano già scappati dai centri di accoglienza cui erano stati inviati (in alcuni centri si sono già dati alla macchia il 50% degli “ospiti”, che hanno ripreso il cammino verso la meta sognata, l’Inghilterra).

La protesta delle forze di polizia è cominciata dopo il grave episodio avvenuto all’inizio di ottobre a Viry-Chatillon, banlieue a sud della capitale francese. Da quel momento, si susseguono quasi senza sosta le manifestazioni dei poliziotti, che da Parigi hanno conquistato altre città e guadagnato la solidarietà dei diversi corpi e, in una certa misura, della società francese. Iniziata come una protesta legata alla richiesta della garanzia di una maggiore sicurezza in particolare per gli agenti impegnati nei quartieri pericolosi – spesso costretti, soprattutto nelle ore notturne, a esporsi in due soltanto in territori naturalmente difficili – la protesta ha presto allargato il proprio quadro di rivendicazioni alla richiesta di migliori e più alti salari, ritenuti fermi, e dunque inadeguati, rispetto all’aumentato costo della vita. Quello che sembra più interessante, e che alcuni osservatori in Francia hanno ritenuto anche preoccupante, sono stati gli atteggiamenti assunti da alcuni gruppi di dimostranti, che hanno ricalcato quelli assunti da parte dei manifestanti durante le proteste legate all’approvazione della legge sul lavoro: su tutti, l’uso di petardi e fumogeni, l’abbigliamento nero (o comunque scuro), l’uso di fazzoletti e cappucci per coprire il volto durante i cortei.

A questo si aggiunge, come raccontavo in apertura, la freschissima autorizzazione – tenuta volutamente sottotraccia –  alla creazione di un unico grande archivio in cui saranno schedati (a 360 gradi) i cittadini francesi: non si tratta, attenzione, dell’acquisizione di nuove informazioni, ma di una nuova centralizzazione (perché in passato molte altre, più parziali, sono già state approvate) all’interno di un unico casellario di tutte le informazioni – relative ai molteplici aspetti della vita dei cittadini – oggi invece disperse negli archivi di molti uffici e istituzioni diverse. Ciò che ha sollevato le vibranti proteste di molte associazioni votate alle “libertà” individuali, che in Francia hanno non poca influenza. La sensazione, su questo, è che molto debba ancora sentirsi e accadere.

Infine, desta scalpore – ma tutto sommato una preoccupazione ancora contenuta – che buona parte dei profughi sgomberati da Calais si siano già allontanati dalle strutture di accoglienza cui erano stati destinati. La gendarmeria li cerca, al momento senza molto successo, ma è opinione comune e condivisa che si siano tutti rimessi in cammino in direzione della meta che originariamente li aveva concentrati al nord della Francia: l’Inghilterra, appunto, che al momento sembra però soltanto disponibile ad accogliere quei minori che possano dimostrare di avere parenti in regola sul territorio britannico.

Più in generale, la sensazione è che la Francia si trovi in un momento di passaggio. I gravi attentati terroristici che si sono susseguiti sul territorio francese hanno sicuramente condizionato, modificato e in qualche caso accelerato – e in altri frenato – la dinamica sociale, e in particolare quella del conflitto; senza tuttavia, al momento, generare quei toni isterici che altrove, in Europa e in alcuni altri momenti, hanno invece preso il sopravvento, pur a fronte di problemi reali e concreti sicuramente d’impatto meno cruento, e dunque assolutamente meno gravi rispetto a quelli che la Francia si è trovata, e ancora si trova, ad affrontare.

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