Immigrazione

Quando rabbia e ignoranza mettono le radici in paese: l’esempio di Gorino

25 Ottobre 2016

Se pensate che Goro e Gorino siano l’eccezione, vi sbagliate di grosso. Goro e Gorino, che se non fosse per la vergognosa pubblicità potrebbe essere un duo comico o il nome di due personaggi di un cartoon, sono l’Italia tutta intera, quella che quando decide di parlare non parla, urla la propria arretratezza mentale, civile e culturale. E lo fa senza vergogna, senza sforzo, sforzo che invece fanno in silenzio gli italiani che aiutano e che sembrano sempre troppo pochi. E’ nel delta del Po, nel ferrarese, che la sera del 24 ottobre 2016 300 cittadini sui 600 della frazione Gorino, hanno costruito barricate di legno e pallet per impedire a 11 donne e 8 bambini provenienti dall’Africa di trovare temporaneamente accoglienza in un Ostello del paese.

Conosciamola, Goro.

3828 abitanti, wikipedia ci dice che al 31 dicembre 2007 risultavano residenti 48 cittadini stranieri. Un ostello, un bed & breakfast, tre ristoranti. Tre settimane di festa all’anno, d’estate, quando le vongole e il fritto misto piacciono particolarmente. Ha un porto, Goro: appena al di là del confine con il Veneto, già Emilia Romagna, è un po’ fiume e un po’ mare, in una zona con Parco Regionale, scorci suggestivi, un consorzio di bonifica e un’unione di comuni che lavorano insieme per promuovere una zona geografica e qualche specialità locale.

Immaginate di viverci, a Goro. Un luogo che ha una stagionalità marcata e che vivendo di pesca ma senza essere luogo di villeggiatura marittima è probabilmente anche un paese piuttosto spento, silenzioso, come lo sono migliaia e migliaia di paesi in Italia, lontani dalle grandi città, tranquilli per chi ama la tranquillità e in quella ama vivere e frustranti per chi tenta, invece, di sopravviverci. Senza addentrarci in analisi discutibili sul carattere e sul dna di chi abita questi luoghi, io mi limito a guardare le loro facce nelle foto che i giornali stanno diffondendo. Sembrano in posa come i protagonisti di una fiction, nei loro sguardi la determinazione di chi sta difendendo il territorio come i lupi che digrignano. Me li immagino mentre si accordano sul materiale da portare, la strada da chiudere, il gazebo per le bevande calde per preparasi all’invasione. No, non li immagino, devo sforzarmi per farlo perchè io, sinceramente, quella cosa che scatta dentro a chi lotta per ostacolare il benessere o la salvezza altrui, non la conosco.

Ho sentito dire che si sono mobilitati perchè non hanno saputo prima del loro arrivo, perché l’ostello andava lasciato ai turisti (di ottobre), perchè il bar a fianco è un punto di aggregazione importante per il paese. E loro, alla socialità, ci tengono: è l’unico modo per tenersi in contatto con il loro mondo geograficamente limitato, conoscersi e riconoscersi, mantenere saldi i loro punti di riferimento. In sostanza, la forzatura di una decisione ha fatto scattare in loro una rabbia organizzata – molto, organizzata – tipica di chi resta, di chi non ha coraggio di andare oltre, di chi preferisce chiudersi e non sapere, piuttosto che aprirsi e capire. Qualcuno ha detto che donne e bambini avrebbero cambiato gli equilibri di Goro e Gorino: la socialità, anche quella costruita dal dna, dalla famigliarità, dagli amici d’infanzia al bar, avrebbe vacillato. In un posto così qualunque cosa è un’invasione. Nella pagina sui cenni storici del Comune di Goro, si legge:

“La storia di Goro è caratterizzata dalla continua lotta dell’uomo contro le acque del mare e del fiume. Ne sono testimonianza gli antichi manufatti di regimazione idraulica – Torre Palù, Torre Abate, Balanzetta e la chiavica dell’Agrifoglio – e le “luci dei naviganti”: Lanterna Vecchia e nuovo faro di Goro, che dimostrano l’incessante modificarsi del territorio. L’area è inoltre una delle più importanti e suggestive d’Europa dal punto di vista naturalistico, con uccelli rari che qui vivono e nidificano, valli da pesca e fauna ittica tipica di questa zona salmastra. Alle testimonianze di un passato ricco di storia e tradizioni si aggiungono i pittoreschi borghi di Goro e Gorino, antichi nella loro semplicità ma allo stesso tempo importanti centri pescherecci dell’alto Adriatico, proiettati nel futuro con il porto turistico, il modernissimo mercato ittico, la mitilicoltura e le innovazioni tecnologiche al servizio del mare e del turismo. Il vivace mercato del pesce è simbolo del connubio tra tradizione e modernità”.

In un paese silenzioso, che vive di speranze, turismo stagionale e feste estive dedicate alle vongole, in un paese senza prospettive e garanzie, oggi più di ieri, la paura del domani si mescola all’ignoranza tipica di chi ignora da generazioni, di chi resta piccolo perchè è più conveniente, di chi non ha il coraggio di andarsene, di chi viaggia a testa bassa con lo sguardo saldo sulle radici e sulle facce conosciute del bar vicino a casa e non alza mai gli occhi al mondo che viaggia attorno. Un mondo che costringe a viaggiare chi non ha nulla e una vongola non sa neanche che forma ha. Un mondo empatico quando pubblica foto di bambini sotto le bombe, che forse ha commosso anche uno solo di loro, commozione facile con la sicurezza della lontananza fisica. Una condizione così profondamente radicata non può e non potrà mai essere accoglienza e conforto dello sconosciuto, a meno che non sia un cliente in viaggio per acquistare una cassetta di pesce o un appassionato qualificato di bird watching. L’accoglienza presuppone curiosità sana, energia fisica e mentale di molto superiore – per dignità umana – a quella che serve per ammassare pallet e assi di legno. Per questo, osservando Goro e Gorino, pensiamo a quanti paesi così esistano in Italia e a che grande cuore abbiano tutti coloro che vengono dallo stesso silenzio e non si accontentano di ciò che già sanno, finendo grazie al cielo per fare anche solo un gesto in grado di cambiare anche solo una giornata di qualcuno che non ha niente e non avrà mai un paese in cui riconoscersi.

Foto da la Nuova Ferrara.

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