Benessere

Punti di vista nella “guerra tra poveri” e il caso di George Steiner

14 Novembre 2014

Si dice “l’Oltrepò pavese” perché ha vinto il “punto di vista” milanese per il quale quel territorio è al di là del Po. Per Bologna è al di qua del Po infatti. Come, quando si dice “Alto Adige”, è sposato il punto di vista italiano, mentre per  “Südtirol” il punto di vista austriaco. Analogamente nei paesaggi sociali il punto di vista non è mai neutro, oggettivo o avalutativo. Lo faceva notare già Max Weber (ne “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”) che ciò che nell’ Ancien Régime si chiamava  “parvenu” altrove, in America, è detto orgogliosamente “self-made man”. Il termine “parvenu” infatti adotta il punto di vista aristocratico, ossia di una classe che era tale per nascita e non sopportava perciò che un “ignobile” si riscattasse con i propri sforzi o meriti. Il romanzo-memoria di Marivaux “Le paysan parvenu” è stato tradotto in italiano con “Il villano rifatto”, e il tema del contadino  o villano “arripuddutu”, così si dice in siciliano, cioè “parvenu- rifatto”,  è ricco di variazioni tematiche nella città che ha visto i miei natali. In America invece dove sono tutti “parvenu” l’orgoglio semantico esplode nella locuzione di chi si è fatto da sé e ne mena giustamente vanto.  

Analogamente quando  si dice con eleganza e distacco che “è  in atto una guerra tra poveri”  è  facile notare che chi probabilmente proferisce questa locuzione  è lontano socialmente, e forse anche psicologicamente, dai poveri,  altrimenti sarebbe la “sua” guerra. O è forse proprio la condizione di benestante che gli  fa allargare il cuore in una grandezza d’animo senza costi non essendo egli povero e non avendo nulla a che fare con loro?

E infine: quando mai non sarà “guerra tra poveri”? Solo nel caso in cui si ospitassero i migranti nei quartieri dei ricchi; in quel caso avremmo finalmente una bella guerra tra ricchi e poveri: quella “classica” tra patrizi e plebei, che parrebbe pacificare il linguaggio, ma non la realtà dei fatti,  perché sempre di guerra si tratterebbe, e questa volta senza il distacco del punto di vista  aristocratico. Solo per la cronaca: è successo al grande critico franco-americano  George Steiner, Extraordinary Fellow di letteratura comparata al Churchill College di Cambridge, quando una famiglia di  giamaicani venne  a vivere nell’appartamento vicino al suo facendolo andare letteralmente fuori di cranio.

In quella circostanza il professore disse: «È molto facile stare seduti a casa qui a Cambridge e dire che il razzismo è orribile; ma venitemi a chiedere di ripeterlo dopo che una famiglia giamaicana con sei figli si è stabilita accanto a casa mia e suona reggae e rock and roll tutto il giorno». E ancora: «Venitemi a chiedere dopo che il mio agente immobiliare mi ha informato che siccome ho dei giamaicani come nuovi vicini, il valore di casa mia è caduto in picchiata: in tutti noi, nei nostri figli, se gratti un poco sotto la pelle scopri molte zone oscure per mantenere la nostra comodità, il nostro modo di vivere».

Io razzista? No, son loro che sono giamaicani…  Ancora una volta punti di vista?

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