Economia civile

Professione volontario

15 Novembre 2023

L’articolo è stato pubblicato sulla newsletter di PuntoCritico.info del 22 settembre 2023

Volontari “dipendentizzati” o più semplicemente forza-lavoro gratuita, così si definiscono molti giovani che hanno scelto il Servizio Civile Universale per “cambiare il mondo”, ma spesso vengono usati dalle cooperative per svolgere le mansioni di soci e dipendenti, a 500 euro al mese, versati dallo Stato.

Il 2023 è stato l’ennesimo anno di posti non assegnati per il volontariato nel terzo settore. Seguendo un trend di decrescita in atto ormai da anni, anche a inizio 2023 (periodo di chiusura dei bandi di Servizio Civile Universale) si è registrato un picco negativo di candidature. Secondo quanto riporta il portale di riferimento Vita.it, ci sono state solo 105.000 candidature per i progetti italiani e 3.500 per quelli da svolgersi all’estero; a cui vanno ancora sottratti gli aspiranti volontari che non si sono successivamente presentati in sede di colloquio. Per i servizi sanitari di assistenza va anche peggio: -40% Croce Rossa, -15% Caritas,  Ma come mai questo strumento non attira più i giovani?

La crisi che colpisce questo istituto ha origine anche nel lentissimo adeguamento del servizio civile rispetto al cambiamento dei tempi e delle necessità dei giovani. Il servizio civile nasce il 15 Settembre 1972 con la legge n. 772, con uno scopo: permettere agli obiettori di coscienza, coloro che cioè si rifiutavano di servire l’obbligo di leva militare, di potersi impiegare in un altro percorso. Prima di questa legge svolta chi rifiutava di servire nell’esercito veniva processato e condannato per renitenza alla leva. Bisognerà aspettare però il 1989 perché la Corte Costituzionale dichiari illegittimo l’aggravio di 8 mesi di servizio, supplementari rispetto ai 18 della leva obbligatoria (poi ridotti fino a 12). Fu poi il governo Berlusconi II a interrompere le chiamate alle leva con decreto n. 226. Era il 2004.

Ma se questo percorso è nato con tanti sacrifici, perché oggi sembra non esercitare più nessun fascino sui ragazzi? In molti attribuiscono la colpa al compenso (passato a 507,30 euro mensili quest’anno rispetto ai 444 circa degli anni precedenti) che ha snaturato la natura volontaria del servizio. Non è però così semplice. Anche perché in molti ex servizio civilisti sono comunque entusiasti dell’esperienza fatta. “La rifarei sicuramente – racconta ad esempio Alessandra, che però specifica – però in un progetto all’estero, dove ho l’impressione che il concetto stesso di servizio civile sia rimasto più ‘puro’”. Spiega infatti: “Se parti per l’estero lo fai perché veramente pensi che il tuo impegno possa cambiare in meglio il mondo: la paga è la stessa, e ci vuole una certa vocazione per lasciare tutto per un anno e andare lontano. Qui invece le persone pensano prima al compenso, e considerano il servizio come un avviamento al lavoro”. Non sarebbe però tutta colpa dei volontari; da una parte infatti i ragazzi crescono in un modello di società, secondo Alessandra: “utilitarista, dove nessuno fa più nulla per nulla”. Questo, unito alla fortissima pressione sociale che prefigge obiettivi irrealistici ai ragazzi e alle ragazze (“un lavoro fisso con un buon stipendio entro tot, una famiglia entro tot, finire gli studi entro tot”) dissuade da una scelta di vita che per quanto formativa richiede comunque un discreto impegno in termini di tempo: un minimo di 25 ore alla settimana per 12 mesi, con variazioni in base ai progetti e ai loro bandi. Sembra poco? Dipende se effettivamente queste condizioni vengono rispettate. A., che preferisce restare anonimo, ha terminato il suo periodo di servizio civile in una struttura di assistenza per disabili. “Se lo rifarei? Sì, ma mi informerei molto meglio prima su altri progetti o realtà”, afferma, denunciando comportamenti contrari al bando e, di fatto, all’etica del servizio civile. “Sulla carta dovevamo occuparci di assistenza agli utenti, trasporto, segreteria e promozione dell’associazione tramite social e così via. Nella pratica eravamo letteralmente dei factotum: troppo pochi e male organizzati, sempre da ‘contratto’ avremmo dovuto lavorare per un massimo di 35 ore a settimana. Nella pratica si sforava sempre il limite”. A. riferisce anche di fogli firma sbianchettati, con ore di servizio cancellate o non contate perché “il servizio non è avvenuto in sede” o “certe cose sono volontariato”, citando i suoi responsabili. “Le ultime settimane la nostra Olp si è resa conto che le ore segnate erano troppo poche, e quindi ci ha costretto a recuperarle; in 8 settimane credo di aver lavorato 40 ore a settimana”.

“Foglio firma”, “contratto”, “stipendio”. Non sono parole usate a vanvera dagli intervistati: è la nomenclatura del Dipartimento delle Politiche giovanili stesso, che ad esempio definisce nei proprio bonifici “stipendio” quello che le cooperative chiamano “rimborso spese”. Una scelta che denuncia anche una certa volontà di inquadramento dei volontari. In molti denunciano un atteggiamento di questo tipo. “Secondo me è un’esperienza che dovrebbero fare tutti i miei coetanei, e io stesso la rifarei, anche se posso capire il limite di una sola occasione per persona: serve a dare a tutti la possibilità di candidarsi, anche se non sarebbe male poterlo ripetere, magari in enti diversi per fare esperienze umane diverse” sostiene Mokhtar, che è stato volontario, insieme a Sara, in una cooperativa attiva nella divulgazione delle buone pratiche del commercio equo e delle filiere sostenibili. Ma aggiunge: “spesso mi sono sentito trattato come un dipendente: molta responsabilità, troppa, se comparata al compenso”, una sensazione condivisa anche da Sara: “pretendono che ti occupi di molte mansioni, a un compenso veramente ridicolo – e in generale – ti senti trattato come un dipendente: la pressione sugli orari, su eventuali ritardi e così via; ma non con gli stessi diritti di un dipendente”. Una sensazione che ha percepito anche Alessandra; lei come A. ha lavorato nell’ambito dell’assistenza ad anziani e disabili, in una delle tante Croci che sopperiscono, nel nostro paese, alle falle di un sistema dove i servizi alla persone finiscono spesso dimenticati nelle bozze del Def. “Ci ha dato veramente molto fastidio l’essere trattati da dipendenti mentre eravamo sulla carta volontari” spiega. Un esempio è relativo alla figura del responsabile: per contratto, il volontario non dovrebbe essere lasciato mai da solo, ma accompagnato appunto da una figura responsabile. Un modo anche per avvicinare umanamente le persone e non farle sentire come impiegati. Nella pratica però “sono finita a fare turni anche completamente da sola”. Inoltre, continua A.: “va considerato che si tratta di lavori usuranti, praticamente ‘costavo’ meno di uno stagista. So che ora il compenso è salito a 500 euro, ma dovrebbe essere la base”. In tutto questo, va considerato che il compenso non ricade sulle cooperative, ma sul dipartimento. È il dipartimento infatti a erogare lo “stipendio”.

Di fronte a tutto questo, in molti decidono di lasciare a servizio iniziato. Una pessima notizia per una cooperativa, che si trova così nelle condizioni di non poter sostituire un volontario mancante (le sostituzioni con altri selezionati in graduatoria infatti vanno effettuate entro tre mesi). “Eravamo in 6, tutte donne – racconta ad esempio Alessandra – lo abbiamo terminato in due. C’è chi ha trovato lavoro, chi non riusciva a stare dietro l’università, chi ha deciso di fare piuttosto un corso. Penso comunque che il fatto di sentirci ‘dipendentizzate’ abbia influito molto”. Il servizio civile viene spesso associato alla possibilità di fare un’attività altra, remunerata poco (“ma meglio di niente”) e compatibile con gli studi. Ma come denuncia A. “mi è stato chiesto praticamente sempre di essere presente in servizio durante l’orario delle lezioni, nonostante avessi fatto presente più volte che non avrei avuto sempre modo di rendermi disponibile. Quando ho minacciato di lasciare perché non riuscivo più a stare dietro a tutto, hanno cercato di farmi sentire in colpa”. Altra nota dolente riguarda il periodo Covid. Durante la pandemia, oltre ai giorni di malattia ordinaria, era stata disposta anche un’ulteriore possibilità: 13 giorni di malattia extra per Covid, calcolati tenendo conto delle fasi di sviluppo e incubazione dell’infezione. Un dispositivo che però è stato eliminato nel 2022, e che perciò comporta, al termine delle ore consentite di congedo per malattia, la decurtazione dello “stipendio”. “Mi sono dovuta operare e al colmo della sfiga ho preso il Covid, sforando così i 15 giorni di malattia: perciò mi hanno decurtato il compenso” racconta Sara. Stessa cosa per A. “in teoria la scomparsa della ‘malattia Covid’ non era ancora applicabile al mio bando, ma me li hanno segnati ugualmente come malattia normale. In pratica hanno abolito il permesso speciale in modo retroattivo”.

Eppure, nessuno degli intervistati condanna drasticamente il volontariato. A domanda “Tornando indietro, lo rifaresti?” hanno risposto tutti “Sì” seguito dagli ipotetici cambiamenti. Va poi considerato l’altro lato della medaglia. Ilaria, in passato olp (cioè referente servizio civilisti) per una cooperativa di commercio equo, puntualizza: “Chi si candida sa a che cosa va incontro, che si tratta di qualcosa di più simile a un lavoro in termini di orario”. Tuttavia ammette che «È possibile che in alcune cooperative ed enti ci siano queste irregolarità. Nonostante oggi ci sia un gruppo di giovani ex scu e scu che fanno lobby, come una specie di sindacato, per migliorare questo strumento, il problema è che ogni piccolo passo in avanti arriva sempre in ritardo”. Un ritardo che, secondo Ilaria, si rintraccia “nella volontà, anzi nella mancanza di volontà, di riformare e sostenere il terzo settore. In questi anni l’assistenza alla persona e alla collettività è stata sempre tra le prime voci nei tagli alla spesa. In più le linee guida sono rimasta in larga parte le stesse di 30 anni fa”. Secondo Ilaria: “sta agli enti cercare di equilibrare il tutto, accogliendo e ascoltando anche le istanze dei civilisti. Ma le cooperative, che si sentono sempre più togliere la terra da sotto i piedi, vedono ormai i servizio civilisti come una delle ultime risorse per avere personale strutturato che non pesa in bilancio all’organizzazione stessa. Non è giusto, ma – conclude ottimista – esistono anche enti idealisti che ancora cercano di non rendere i servizio civilisti mera ‘forza lavoro gratis’”.

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