Internet

“Non ho nulla da nascondere”, falso mito della privacy online

12 Febbraio 2018

Di fronte al tracciamento sempre più pervasivo e profondo dei dati personali da parte delle piattaforme digitali, le reazioni di solito si polarizzano fra chi se ne allontana per una preoccupazione epidermica e chi inconsapevolmente non si pone il problema, affermando di non avere nulla da nascondere.

Eppure nuove e più granulari funzionalità emergono a dimostrare la volontà da parte dei grandi player a rendere sempre più trasparente la navigazione: l’impostazione di Facebook in inglese abilita infatti nuovi comandi di ricerca grazie ai quali è per esempio possibile osservare i post apprezzati non solo da noi stessi, ma dagli amici.

Per chi voglia osservare quanto profondamente oggi si possano fare ricerche all’interno dell’Opengraph di Facebook, vi invito a consultare i Facebook Custom Tools [link].

Tali funzionalità richiedono pertanto di accrescere la consapevolezza non solo di quanto le piattaforme digitali traccino la nostra vita digitale, ma anche di passare da un ingenuo “non ho nulla da nascondere” ad un più maturo atteggiamento di cautela rispetto a ciò che pubblichiamo, alle conversazioni a cui partecipiamo e a ciò a cui facciamo like fino ad una più puntuale decisione in merito alle scelte di tag e richieste di contatto consentite dai social media.

Nello stesso tempo, tale educazione ai dati personali dovrebbe costituire la base per politiche più solide nei confronti dei grandi player digitali: il 2018 sarà infatti l’anno dell’introduzione del GDPR e l’auspicio è che possa rappresentare una modalità più efficace  – e meno burocratica –  di protezione della navigazione online rispetto alla cookie law.

Tale regolamentazione ha portato infatti agli attuali pop-up che anzichè invitare alla lettura dei tracciamenti adottati ha semplicemente reso più fastidiosa la navigazione, soprattutto durante la lettura su smartphone. Si è inoltre concentrata su un elemento, il cookie, che di per sè non fornisce informazioni significative, mentre la login a piattaforme come Facebook e Google consente loro di avere di quella persona una visione estremamente puntuale eppur sintetica, spesso legata all’accesso a comunicazioni personali quali i messaggi e la posta elettronica.

L’applicazione della nuova normativa – peraltro impegnativa per tutte le organizzazioni e le aziende – avrà pertanto valore se in parallelo si riuscirà a promuovere una vera e propria cultura della privacy, tanto più importante quanto più questa fuoriesce dal digitale e attraversa la nostra vita di persone, lavoratori, cittadini.

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.