Internet
Huawei, i dati e la democrazia del futuro
Secondo un’inchiesta del Wall Street Journal, il colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei avrebbe ricevuto, negli ultimi vent’anni, circa 45 miliardi di dollari dal governo di Pechino.
La società si è sempre definita privata e indipendente, ma da anni le autorità statunitensi accusano Huawei di fare spionaggio per il governo cinese, oltre che di vendere i propri sistemi a nazioni sotto embargo USA come Iran, Cuba e Siria. Già nel dicembre 2018, Meng Wenzhou, direttrice finanziaria della società, era stata arrestata in Canada su richiesta americana, proprio con l’accusa di aver violato l’embargo verso l’Iran, mentre nel 2019 è toccato a un dipendente cinese che lavorava in Polonia, accusato di essere una spia ai danni del governo locale.
Al di là delle accuse di spionaggio, le informazioni pubblicate dal WSJ dimostrano un forte interesse da parte del governo cinese verso lo sviluppo di Huawei, tanto più se si considera che, dei 45 miliardi, 30 sarebbero stati erogati come linee di credito della Banca Cinese dello Sviluppo e della Banca Cinese per le Importazione e le Esportazioni. Huawei, insomma, sembrerebbe avere un’importanza strategia per Pechino. In effetti, la società ha venduto 200 milioni di smartphone solo nel 2019 (prima di Apple, dopo Samsung) e ha oltre 50 contratti già firmati con diversi Paesi per l’allestimento dell’infrastruttura 5G (come Russia e Germania).
Il Ministero degli Esteri cinese ha smentito la ricostruzione del Journal, ma intanto la vicenda solleva ancora una volta il tema dell’importanza della tutela dei dati: qual è la mole di dati degli utenti detenuta da Huawei? Se il Governo cinese chiedesse di avervi accesso, la società potrebbe negarglielo?
Più in generale, oggi i colossi del web e delle telecomunicazioni dispongono di più dati sugli utenti di quanti ne abbiano mai avuti i governi (anche quelli illiberali). L’industria 4.0, lo sviluppo della robotica e delle intelligenze artificiali, renderanno sempre più marcato questo fenomeno, rendendo necessaria una visione a lungo termine per la gestione di una delle più grandi trasformazioni mai affrontate. Proprio su questo tema, infatti, non ci si può limitare a normare un settore nascente, ma occorre avere ben chiara una strategia, un piano industriale, un quadro normativo e in ultima istanza un riferimento culturale. La politica, in altri termini, deve rivendicare la sua centralità: la definizione di regole e limiti per l’archiviazione e l’uso dei dati, oltre che per l’accesso ad essi da parte di società e governi, sarà un tema sempre più nevralgico nei prossimi decenni, e dalle risposte che i diversi governi daranno dipenderà non solo la qualità delle democrazie, ma più profondamente la possibilità stessa di definirsi tale (dato che la democrazia occidentale presuppone una sfera di inviolabilità individuale). Una riflessione del genere, però, attualmente è assente nel dibattito interno di molti Stati, pur essendo presente a livello europeo.
Le vicende legate a Huawei, come in precedenza il caso Cambridge Analytica, pongono interrogativi più generali sulla protezione dei dati e sul ruolo in cui i governi si troveranno presto a esercitare, facendo (o meno) scelte che delimiteranno il confine tra pubblico e privato in un modo del tutto nuovo. Per questo, oggi gli Stati (o le unioni di essi, come l’UE), tanto più quelli che hanno fatto della tutela delle libertà individuali i loro tratti fondativi, non possono fare a meno di considerare il tema dei dati come il tema democratico del XXI secolo.
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